Una famiglia su tre, in Italia, ha ridotto la spesa alimentare. Non per scelta, ma per necessità. Il 31,1% dei nuclei dichiara di aver limitato quantità o qualità del cibo acquistato. È la stessa quota del 2023. L’inflazione si è fermata, la rinuncia no. È quanto emerge dal nuovo rapporto dell’Istat sulle spese per i consumi delle famiglie – anno 2024, che fotografa un Paese in cui la normalità coincide sempre più spesso con la rinuncia.
Dietro quella percentuale c’è un equilibrio fragile. Le famiglie non spendono meno, ma lo stesso: 2.755 euro al mese in media, una cifra che da due anni non si muove. Solo che oggi vale meno. Rispetto al 2019, i prezzi sono cresciuti del 18,5 %, mentre la spesa familiare è aumentata del 7,6 %. La corsa dei prezzi ha divorato la differenza. Il valore mediano — 2.240 euro — mostra che metà dei nuclei vive sotto la media, e che la stabilità è il risultato di milioni di piccoli aggiustamenti.
Nel carrello non c’è meno per caso: c’è meno perché tutto costa di più. La spesa resta uguale, ma cambia la qualità di ciò che contiene.
Le famiglie italiane tagliano i consumi: ecco dove si risparmia di più
L’altra metà dell’Italia
Dietro i 2.755 euro mensili di spesa media, c’è un’Italia divisa in due metà che si somigliano sempre meno. Da una parte chi riesce a sostenere i costi e a preservare abitudini di consumo stabili, dall’altra la maggioranza che si muove appena sopra la linea del necessario. L’Istat calcola che la spesa mediana sia 2.240 euro, praticamente ferma rispetto al 2023 (2.243 euro). Una differenza di oltre cinquecento euro rispetto alla media nazionale, che rivela quanto il dato aggregato nasconda la compressione della fascia centrale.
Tra il 2019 e il 2024 la spesa delle famiglie è aumentata del 7,6%. Ma nello stesso periodo, i prezzi sono cresciuti più del doppio. In termini reali, il potere d’acquisto è sceso. Quello che nel 2019 permetteva di riempire un carrello oggi basta appena a mantenerlo a metà. È un meccanismo che si autoalimenta: i consumi fermi non spingono la produzione, i redditi stagnano, la capacità di spesa si riduce.
La forbice sociale si riflette nella composizione dei nuclei familiari. Le famiglie composte solo da italiani continuano a spendere il 31,8% in più rispetto a quelle con stranieri. Non è solo questione di redditi, ma di sicurezza economica: più precarietà, più risparmio forzato, meno spesa.
In un Paese dove la media tiene e la mediana arretra, la “stabilità” diventa una forma di immobilità. Le famiglie non tagliano drasticamente, ma limano ogni margine: rinviano, sostituiscono, riducono. Ogni mese si chiude in pareggio, ma con meno dentro. È un equilibrio misurato al centesimo.
Prezzi più lenti, carrelli più vuoti
Nel 2024 l’inflazione alimentare ha rallentato. Dopo il +10,2% dell’anno precedente, i prezzi dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche sono saliti “solo” del 2,5%. Ma il raffreddamento dei prezzi non ha rimesso in moto la spesa: il valore resta identico al 2023. Non si compra di più, non si compra meglio. Si compra lo stretto necessario, a prezzo leggermente più basso.
Una su tre famiglie ha dichiarato di aver ridotto quantità o qualità del cibo acquistato. Dentro questa categoria ci sono scelte ripetute ogni giorno: una marca diversa, una spesa settimanale più corta, meno carne, più pasta, meno prodotti pronti. Niente allarmi, solo aggiustamenti costanti. È questa la vera faccia del dato: una strategia di adattamento ormai radicata.
Alcune voci si muovono. Aumentano le spese per oli e grassi (+11,7%, 18 euro mensili) e per frutta e frutta a guscio (+2,7%, 45 euro). Si tratta di variazioni modeste, ma indicano che i rincari su alcune categorie restano sensibili, anche dopo la frenata generale.
Sul fronte non alimentare, che rappresenta l’80,7% del totale con 2.222 euro mensili, prevale la stabilità. Cresce la voce ristorazione e alloggio (+4,1%, 162 euro), che continua il recupero post-pandemia, ma a ritmo dimezzato rispetto al 2023. Aumentano le spese per istruzione nel Nord-est (+16,9%), calano informazione e comunicazione (-2,3%). È il segno di un’economia familiare che si riorganizza su priorità rigide: casa, cibo, trasporti. Il resto viene messo in pausa.
In questo quadro, la stabilità dei consumi è una forma di difesa. Le famiglie non reagiscono all’inflazione con nuovi consumi, ma con un consolidamento prudente. Si resta fermi per non rischiare di scendere.
Nord e Sud, la stessa spesa che non pesa uguale
Il 2024 non modifica la geografia del consumo. Nel Nord-est, le famiglie spendono in media 3.032 euro al mese; nel Centro, 2.999; nel Nord-ovest, 2.973. Tutte sopra la media nazionale. Nelle Isole, la spesa scende a 2.321 euro; nel Sud, a 2.199. Il divario tra Nord-est e Sud è di 834 euro, pari al 37,9%. È tornato ai livelli pre-pandemia, dopo una breve riduzione negli anni del Covid.
Le differenze non riguardano solo le cifre, ma la composizione dei bilanci. Nel Mezzogiorno, i beni alimentari assorbono il 25,4% della spesa totale (23,5% nelle Isole), contro il 17,4% del Nord-est. Nelle regioni settentrionali pesano di più trasporti (11,5%), ristorazione e alloggio (6,9%), ricreazione e cultura (4,4%). Il Sud spende per sopravvivere, il Nord per vivere meglio.
Il divario si amplia anche a livello regionale: Trentino-Alto Adige guida la classifica con 3.584 euro mensili, seguito da Lombardia (3.162). In fondo, Calabria (2.075) e Puglia (2.000). In Trentino, la spesa per abitazione e utenze raggiunge il 42% del totale, contro il 35,7% medio nazionale, per effetto degli affitti figurativi. In Calabria, la quota per alimentari arriva al 28,2%.
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La mappa urbana segue lo stesso schema. Nei comuni centro di area metropolitana, la spesa media è 2.999 euro; nei comuni medio-grandi 2.822; nei centri più piccoli 2.638. Chi vive fuori dalle città spende il 12% in meno, ma con un’offerta di servizi più limitata.
Dietro queste cifre c’è la fotografia di un Paese diviso: dove la rete economica è più solida, si consuma di più e in modo più vario; dove è più fragile, il bilancio familiare si concentra su ciò che serve per andare avanti. I consumi disegnano con precisione la geografia del reddito, e il carrello della spesa diventa una carta economica del Paese.
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