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Pensioni, congelamento dell’età? Sì, ma solo per gli over 64

Il congelamento dell’età pensionabile, obiettivo dichiarato dell’esecutivo, potrebbe diventare realtà, ma solo per pochissimi lavoratori. In vista della prossima Manovra, l’idea è quella di bloccare l’aumento di tre mesi dell’età pensionabile previsto per gennaio 2027, ma il nodo (come sempre) sono i conti pubblici: congelare l’adeguamento all’aspettativa di vita per tutti costerebbe circa tre miliardi di euro, una cifra incompatibile con i vincoli di bilancio. Per questo, l’esecutivo ha scelto di non accennare al possibile congelamento nel Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp).

Un privilegio riservato agli over 64 

L’ipotesi più probabile è che il blocco dell’aumento scatti solo per chi nel 2027 avrà già compiuto 64 anni. Chi invece avrà 62 o 63 anni, anche con 42 anni e 10 mesi di contributi alle spalle, si vedrebbe comunque applicare i tre mesi aggiuntivi. La distinzione anagrafica ridurrebbe drasticamente il numero dei beneficiari e porterebbe il costo della misura da un miliardo a circa 300 milioni l’anno.

Secondo quanto riporta Il Messaggero, la Ragioneria generale dello Stato ha avanzato un’ipotesi ancora più prudente: far scattare almeno un mese di aumento nel 2027, introducendo una finestra mobile tra il momento in cui si matura il diritto e quello in cui si lascia effettivamente il lavoro. Una soluzione di compromesso che però smentirebbe le promesse elettorali di “congelamento totale” rilanciate dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon.

Il meccanismo dell’aspettativa di vita

Dal 2027, senza interventi, l’età per la pensione di vecchiaia passerebbe da 67 anni a 67 anni e tre mesi, mentre quella per la pensione anticipata salirebbe da 42 anni e 10 mesi di contributi a 43 anni e un mese (un anno in meno per le donne).
Questo in virtù dell’adeguamento automatico previsto dalla riforma Fornero, aspramente criticata ma mai cancellata del tutto, che lega i requisiti pensionistici all’allungamento della speranza di vita rilevato dall’Istat. Ogni biennio, questi parametri vengono aggiornati per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale.

L’Italia ha già oggi uno dei requisiti d’età più elevati d’Europa per accedere alla pensione di vecchiaia. Il sistema contributivo premia chi resta al lavoro più a lungo: i coefficienti di trasformazione, che traducono i contributi versati in assegno mensile, crescono con l’età. Chi va in pensione a 67 anni con 300mila euro di montante contributivo riceve circa 16.824 euro lordi annui applicando i coefficienti aggiornati al 2025, contro i 17.169 euro che avrebbe ottenuto con i parametri del 2024.

Il nodo dei coefficienti di trasformazione

La Ragioneria generale ha sollevato un tema tecnico cruciale: cancellare l’adeguamento all’aspettativa di vita senza intervenire sui coefficienti di trasformazione potrebbe generare uno squilibrio. Se l’età pensionabile resta ferma mentre la speranza di vita aumenta, il sistema eroga assegni per un periodo più lungo. Secondo le stime della Ragioneria, questo scenario comporterebbe una riduzione media delle pensioni di circa il 9%. Il tutto in un Paese con sempre meno giovani, e in prospettiva meno lavoratori, a sostenere il sistema per tutti.
In questo contesto, chi rischia di essere tagliato fuori dalle pensioni o di riceverla per un periodo molto ristretto sono le nuove generazioni, per cui la pensione integrativa diventa indispensabile.

I coefficienti vengono rivisti ogni due anni proprio per bilanciare l’aumento dell’aspettativa di vita, agendo come stabilizzatore del sistema. Per i lavoratori nel sistema misto (con contributi versati prima e dopo il 1996), la revisione dei coefficienti incide sulla quota contributiva calcolata dal 2012 in poi. Per i “contributivi puri”, cioè chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, l’impatto è totale.

Chi può già andare in pensione a 64 anni 

Esiste già oggi una possibilità di uscita anticipata a 64 anni, ma riservata a una platea ristretta. La pensione anticipata contributiva, introdotta per i lavoratori con contributi versati solo dal 1996, richiede 20 anni di versamenti e un assegno pari almeno a 2,8 volte l’assegno sociale, cioè circa 1.703 euro lordi al mese nel 2025. Una soglia difficile da raggiungere con carriere discontinue, contratti part-time o retribuzioni medio-basse.

La Lega propone di estendere questa via d’uscita ai lavoratori del sistema misto, utilizzando il trattamento di fine rapporto come rendita ponte per raggiungere la soglia minima di assegno. L’idea è alzare i requisiti contributivi a 25 o 30 anni e abbassare la soglia economica, permettendo così a più persone di accedere al pensionamento anticipato. Secondo Durigon, questa “soglia di libertà pensionistica” sarebbe compatibile con il mercato del lavoro attuale. Intanto, la stretta dell’esecutivo sull’uscita anticipata dal lavoro ha prodotto i suoi risultati: da gennaio a giugno del 2025 sono state liquidate 98.356 pensioni anticipate, -17,3% rispetto allo stesso periodo del 2024, quando ammontavano a circa 118.550. Ha contribuito al calo la stretta su Quota 103 (in pensione a 62 anni con 41 di contributi) decisa da Palazzo Chigi, con il calcolo dell’assegno basato interamente con il metodo contributivo, meno generoso di quello retributivo. Per motivi analoghi sono crollate anche le pensioni liquidate con Opzione donna: 1.134 nel primo semestre 2025 contro le 3.590 di tutto il 2024.

Il Documento di finanza pubblica

Il tema pensioni è rimasto assente dal Documento programmatico di finanza pubblica, scheletro della prossima legge di Bilancio. Un silenzio che alimenta le tensioni all’interno della maggioranza e conferma le difficoltà nel mantenere gli impegni presi in campagna elettorale. La questione sarà al centro del dibattito sulla manovra economica nelle prossime settimane.

 

Welfare

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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