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Dimmi cosa posti e ti dirò se entri: gli Usa chiedono di vedere i tuoi social e dove vivono i tuoi parenti

Per entrare negli Usa dovrai mostrare alle autorità americane cosa pubblichi sui social media. Questa è la principale, ma non l’unica, novità proposta dall’amministrazione Trump che punta a estendere i controlli di “controllo estremo” (“extreme vetting”) non più solo ai richiedenti visto, ma anche ai cittadini dei 42 Paesi che finora godevano di un accesso agevolato, tra cui l’Italia.

Se la riforma avanzata dal Dipartimento della Sicurezza Interna (Dhs) verrà approvata dopo i 60 giorni di consultazione pubblica previsti, per entrare negli Stati Uniti non basterà più il passaporto: bisognerà aprire alle autorità americane la propria vita digitale e l’albero genealogico. L’obiettivo dichiarato è la sicurezza nazionale, ma le implicazioni per la privacy di milioni di viaggiatori (e per il turismo negli Usa) potrebbero essere importanti.

Un controllo approfondito dei social: cosa prevede la proposta 

Il nocciolo del provvedimento è la trasformazione del modulo Esta (Electronic System for Travel Authorization), l’autorizzazione elettronica usata da turisti e viaggiatori d’affari dei Paesi ritenuti alleati per soggiorni brevi (fino a 90 giorni). Fino a oggi, fornire i propri account social era una scelta facoltativa. La proposta Trump rende questo campo obbligatorio e amplia drasticamente la quantità di dati richiesti.

Ecco nel dettaglio i requisiti inseriti nell’avviso pubblicato dal Federal Register:

  • Social Media: i richiedenti dovranno fornire gli identificativi (handle/username) di tutti i profili social utilizzati negli ultimi cinque anni. La lista include le piattaforme maggiori (Facebook, X, Instagram, LinkedIn) ma potrebbe estendersi ad altre app. Non vengono richieste le password, ma di mostrare contenuti e interazioni avute su questi canali;
  • Email e telefono: sarà obbligatorio comunicare tutti gli indirizzi email utilizzati negli ultimi dieci anni e i numeri di telefono (fissi e mobili) usati negli ultimi cinque anni;
  • Dati sui familiari: la sezione relativa alla famiglia diventa ancora più intrusiva. Non ci si limiterà ai dati anagrafici di base: bisognerà fornire nomi completi, date di nascita, luoghi di nascita e residenze attuali di genitori, coniugi, figli e fratelli/sorelle;
  • Biografia estesa: il controllo incrociato potrebbe includere, seppur con modalità ancora da chiarire nei dettagli tecnici, anche dati biometrici aggiuntivi per collegare il richiedente a eventuali parenti già presenti nei database di sicurezza Usa.

Oltre a questi controlli, la Customs and Border Protection americana ha segnalato possibili modifiche alla tecnologia alla base del processo di richiesta. In base alla proposta, i passeggeri dovrebbero farsi un selfie e non basterà esibire la foto del passaporto. La motivazione ufficiale è che, in questo modo, si potrebbe dismettere il sito web per l’autorizzazione e registrarsi semplicemente tramite app.

Come vengono analizzati i dati: algoritmi e “Vetting Center”

Ma cosa succede una volta inviati i propri profili? I dati non restano in un archivio “passivo”. Vengono immessi in un ecosistema di sorveglianza complesso, gestito principalmente dal National Vetting Center. Qui, le informazioni subiscono un doppio livello di analisi.

Il primo livello è automatizzato: software di analisi basati sull’intelligenza artificiale scansionano i contenuti pubblici alla ricerca di parole chiave, sentiment “anti-americani” o collegamenti sospetti. Gli algoritmi incrociano i dati social con le informazioni dichiarate nel modulo Esta per scovare incongruenze: ad esempio, un turista che posta foto mentre lavora o che esprime l’intenzione di rimanere oltre la scadenza del visto viene immediatamente segnalato (flagged).

Il secondo livello è umano: se l’algoritmo rileva un’anomalia, il profilo passa agli analisti del Cbp (Customs and Border Protection), l’agenzia che controlla le frontiere. Questi operatori possono esaminare la rete di contatti del richiedente (la “social graph”), per verificare se si relaziona con soggetti già noti alle forze dell’ordine o se frequenta gruppi online radicalizzati. Inoltre, i dati vengono incrociati con database federali (come quelli dell’Fbi o dell’Ice, il dipartimento responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione) e commerciali.

In sostanza, un like messo anni fa o un commento sarcastico male interpretato dall’algoritmo potrebbero far scattare un controllo approfondito all’arrivo in aeroporto o, nel peggiore dei casi, il diniego dell’ingresso.

La giustificazione ufficiale per il “controllo estremo” 

La Casa Bianca ha inquadrato questa mossa all’interno della National Security Strategy 2025 e dell’ordine esecutivo firmato dal Presidente per “proteggere la nazione dall’ingresso di terroristi stranieri”. Secondo il Cbp, i dati social sono fondamentali per intercettare segnali di radicalizzazione o intenzioni ostili che sfuggono ai controlli tradizionali sui casellari giudiziari.

La logica è preventiva: analizzare la “presenza online” permette di individuare minacce potenziali prima che arrivino al gate di imbarco. L’amministrazione sostiene che i terroristi e i criminali usano piattaforme comuni per comunicare e che il “viaggio senza visto” (Visa Waiver Program) non deve diventare una scorciatoia per aggirare i controlli di sicurezza.

Se diventerà definitiva, questa strategia segnerà la fine dell’immunità precedentemente accordata ai cittadini occidentali, in linea con l’avversione verso l’Europa dichiarata a voce dal presidente Trump e per iscritto dalla nuova strategia Usa per la sicurezza nazionale.

A chi si applica già: la fine dell’eccezione occidentale

Per capire la portata della novità, bisogna guardare a chi è già sottoposto a queste regole.
L’obbligo di fornire i social media (introdotto nel 2019, durante il primo mandato Trump) è già realtà per chi deve richiedere un visto tradizionale (moduli DS-160 o DS-260). Questo include cittadini di quasi tutto il mondo (Cina, India, Russia, Brasile, ecc.) e chiunque voglia trasferirsi negli Usa per lavoro o studio.

La vera rottura di questa proposta è l’estensione ai Paesi del Visa Waiver Program. Fino a ieri, un cittadino italiano, francese o tedesco era considerato “a basso rischio” e poteva compilare un modulo veloce. Con la nuova norma, l’eccezione occidentale cade: anche gli alleati storici verranno sottoposti allo stesso scrutinio digitale riservato al resto del mondo.

Fasi di consultazione e possibili obiezioni 

Attualmente la misura è in fase di proposta (Notice of Proposed Rulemaking) e seguirà queste fasi:

  • Periodo di consultazione pubblica: la proposta è aperta alle osservazioni di cittadini e organizzazioni per 60 giorni a partire da ieri, mercoledì 10 dicembre 2025;
  1. Revisione: il Dipartimento della Sicurezza Interna dovrà analizzare i commenti. È probabile che associazioni per i diritti civili come l’Aclu o gruppi del settore turistico (preoccupati dal calo dei visitatori già registrato quest’anno) presentino forti obiezioni;
  1. Pubblicazione regola finale: se l’amministrazione tirerà dritto, la regola finale potrebbe entrare in vigore entro la primavera/estate 2026;
  1. Possibili ricorsi: Non è escluso che la norma venga contestata nei tribunali federali Usa per violazione della privacy o del Primo Emendamento (libertà di espressione), anche se la giurisprudenza tende a riconoscere al governo ampi poteri sui confini.

Mondo

giovanni.palmisano@adnkronos.com (Giovanni Palmisano)

© Riproduzione riservata

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