Andare in pensione anticipata sarà sempre più difficile. Non per un deliberato cambio di strategia, ma per le crescenti difficoltà dei conti pubblici, messi a dura prova dalla crisi demografica. Culle più vuote significano meno nati, meno nati significano meno giovani e meno giovani significano meno contributi versati al fronte delle pensioni che, invece, restano.
Per questo, mentre il dibattito pubblico si concentra sulle quote e sulle età in cui è possibile lasciare il lavoro, il governo ha inserito nel maxi-emendamento alla Manovra 2026 un meccanismo tecnico che agirà come un freno a mano tirato sulle future pensioni anticipate. Non cambiano le regole d’ingresso, ma si dilatano i tempi di attesa per incassare il primo assegno.
Viene chiamata “finestra mobile” ed è destinata ad aumentare progressivamente dal 2032.
Come cambia il calendario dell’uscita anticipata
La novità principale riguarda il periodo di latenza, ovvero quel lasso di tempo che intercorre tra la maturazione del diritto alla pensione e l’effettiva erogazione dei soldi da parte dell’Inps. Oggi questo intervallo è fissato a tre mesi e tale rimarrà per chi raggiungerà i requisiti entro il 31 dicembre 2031.
Dal 2032, però, scatterà un decalage progressivo che appesantirà l’attesa:
- Quattro mesi di finestra per chi matura i requisiti entro il 2033;
- Cinque mesi per chi li raggiunge nel 2034;
- Sei mesi a partire dal 1° gennaio 2035.
In sostanza, nell’arco di un decennio, il tempo di attesa raddoppierà. Questo significa che un lavoratore, pur avendo formalmente diritto alla pensione, dovrà coprire mezzo anno di vita senza stipendio e senza rateo pensionistico, a meno di non voler continuare a lavorare (se concesso) in quel periodo “cuscinetto”.
Requisiti contributivi e speranza di vita
Per il momento, i paletti restano fissi. Il blocco degli adeguamenti alla speranza di vita congela i requisiti contributivi fino al 31 dicembre 2026: 42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne. Una tregua apparente, perché il maxi-emendamento traccia già la rotta per i rialzi successivi.
La manovra mette nero su bianco due scatti automatici legati alla longevità, indipendenti dalle finestre mobili: un incremento di un mese previsto per il 2027 e un ulteriore gradino di due mesi nel 2028. L’effetto combinato di questi due fattori — allungamento dei contributi necessari e dilatazione della finestra di pagamento — genererà un ritardo effettivo nell’uscita dal mercato del lavoro molto più marcato di quanto dicano le semplici soglie anagrafiche.
Il limbo economico per i lavoratori
La logica dell’esecutivo è prettamente finanziaria: posticipare l’erogazione dell’assegno permette di alleggerire la spesa previdenziale senza l’impopolarità derivante dall’innalzamento brusco dell’età pensionabile. È una riforma “silenziosa”, che non tocca il diritto ma ne ritarda il godimento.
Senza ammortizzatori specifici, questo “limbo” dovrà essere coperto dai risparmi privati o da fondi integrativi, penalizzando soprattutto chi arriva alla fine della carriera con poche risorse da parte. La pensione anticipata del futuro, dunque, sarà accessibile sulla carta, ma economicamente più faticosa da raggiungere nella pratica.
Quali sono le alternative per i lavoratori che non possono aspettare il pagamento della pensione?
L’allargamento della finestra mobile crea una “zona grigia” priva di reddito, ma i lavoratori non sono del tutto privi di strumenti per affrontarla.
L’opzione più immediata e incentivata dal sistema è la continuità lavorativa: raggiungere i requisiti formali (42 anni e 10 mesi) non obbliga alle dimissioni immediate. Proseguendo l’attività durante i mesi di finestra, il lavoratore mantiene lo stipendio pieno e matura ulteriori contributi che alzeranno, seppur lievemente, l’assegno finale, facendo coincidere le dimissioni con la decorrenza effettiva della pensione.
Per chi invece necessita di uscire subito dal mondo del lavoro, le alternative principali sono due.
Nel settore privato, il Tfr (Trattamento di Fine Rapporto) erogato alla cessazione può fungere da liquidità “ponte” per coprire le spese nei mesi di attesa.
Inoltre, chi ha aderito alla previdenza complementare può ricorrere alla Rita (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata), uno strumento pensionistico che consente di attingere in anticipo al capitale accumulato nei fondi pensione, ricevendo una rendita mensile tassata in modo agevolato che accompagna il lavoratore fino alla pensione pubblica, colmando il vuoto temporale.
Nel dettaglio, la tassazione parte da un’aliquota massima del 15%, che si riduce dello 0,30% per ogni anno di partecipazione al fondo pensione successivo al quindicesimo. La riduzione massima possibile è di 6 punti percentuali (0,30% x 20 anni = 6%), portando l’aliquota minima al 9% (15% – 6% = 9%).
In pratica, più anni si è rimasti iscritti al fondo pensione, meno tasse si pagano sulla rendita, scendendo progressivamente dal 15% fino a un minimo del 9% dopo trentacinque anni di iscrizione.
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