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Niente cognome sul citofono? Rischi di pagarne le conseguenze

Chi non mette il cognome su citofono e cassetta postale rischia di diventare invisibile agli occhi della legge e pagarne le conseguenze. A stabilirlo è la Cassazione che, con l’ordinanza 24745 del settembre 2025, ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate: se il messo notificatore non trova traccia del nominativo durante i suoi controlli, può attivare la procedura per “irreperibilità assoluta”. Risultato: cartelle ed ipoteche diventano valide anche se il destinatario non ne sa nulla.

Il caso di specie arriva da Milano. Una contribuente si ritrova un’ipoteca su casa per cartelle mai ricevute. Lei risponde con una pila di certificati anagrafici: oltre nove anni nella stessa città, prima in un indirizzo poi in un altro, sempre con i tre figli. Il messo fa due accessi, constata che né citofono né cassetta postale riportano il suo nome e cognome, e procede come se la donna fosse sparita nel nulla. Notifica all’albo comunale, secondo l’articolo 60 del Dpr 600/1973, e iter che va avanti all’insaputa della diretta interessata.

L’anagrafe non basta più 

Il punto cruciale della sentenza riguarda quanto valgono i documenti del comune rispetto a ciò che vede il messo notificatore. La Cassazione taglia corto: “Le risultanze anagrafiche rivestono valore meramente presuntivo”.

Tradotto: i certificati comunali circa la residenza sono semplici indizi, mentre l’attestazione del pubblico ufficiale costituisce atto pubblico e fa piena prova fino a querela di falso.

Il contrasto tra residenza formale ed effettiva si è complicato dal primo gennaio 2024, dopo che il decreto legislativo 209/2023 ha trasformato l’iscrizione anagrafica da certezza assoluta a semplice presunzione di residenza fiscale. In pratica, il contribuente può dimostrare di vivere altrove, ma quando si parla di notifiche, la Cassazione ribalta la prospettiva: chi risulta residente deve farsi trovare, altrimenti scattano le procedure d’emergenza.

La differenza tra irreperibilità assoluta e relativa

La differenza tra irreperibilità relativa e assoluta cambia tutto. Nel primo caso (articoli 139 e 140 del codice di procedura civile) si fanno due tentativi di consegna, si attacca un avviso alla porta, si deposita l’atto in comune. Nell’irreperibilità assoluta invece si va dritti all’affissione all’albo comunale, quando il destinatario risulta trasferito in luogo ignoto o comunque non rintracciabile.

La Cassazione ha ritenuto sufficiente l’assenza di elementi identificativi all’indirizzo di residenza per applicare la procedura più drastica. Il messo aveva scritto nella relata di aver eseguito due accessi senza trovare alcun riferimento al nominativo. Questa dichiarazione ha battuto certificati di residenza storica e stati di famiglia che dimostravano la presenza continuativa della contribuente e dei figli nello stesso comune per nove anni e cinque mesi.

Il cognome sul citofono in una popolazione di migranti 

La sentenza assume un peso particolare se guardata nel contesto demografico italiano, caratterizzato da una importante immigrazione, ma anche da una forte migrazione interna e da una inarrestata emigrazione. Al primo gennaio 2025 i residenti sono 58 milioni 934mila, con 37mila persone in meno rispetto all’anno prima secondo i dati provvisori Istat. Tre spostamenti su dieci avvengono tra regioni diverse, con oltre 125mila giovani laureati tra i 25 e i 34 anni che nel decennio 2013-2022 sono migrati dal Sud verso il Centro-Nord.

Gli espatri, in gran parte dovuti alla fuga dei cervelli, complicano il quadro. Nel 2023 si sono iscritti all’Aire per lasciare l’Italia 89.462 cittadini, il 45,5% tra i 18 e i 34 anni. La comunità residente all’estero ha raggiunto nel 2024 i 6,4 milioni di persone, con un incremento di 243mila unità sul 2023. Questi flussi generano continui disallineamenti tra gli indirizzi di residenza e domicilio dichiarati e quelli effettivi.

Privacy o tutela legale? Il caso del numero sul citofono 

La decisione mette i cittadini davanti a un bivio. Chi per ragioni di sicurezza o riservatezza toglie il nome da citofono e cassetta postale si espone al rischio di non ricevere notifiche cruciali per difendersi. Una cartella esattoriale deve essere notificata entro cinque anni dall’emissione, ma il termine di prescrizione non opera automaticamente e va fatto valere in tribunale.

Il sistema delle notifiche fiscali parte dal presupposto che il contribuente sia rintracciabile al domicilio fiscale dichiarato. Quando questa presunzione cade per l’assenza di elementi identificativi esterni, l’ordinamento privilegia l’interesse pubblico alla riscossione rispetto al diritto individuale a conoscere effettivamente gli atti. Per contestare la notifica servono prove di vizi formali nella relata del pubblico ufficiale, cosa che a distanza di tempo diventa quasi impossibile.

Cosa succede invece per chi ha non ha il cognome scritto sul citofono ma ha un numero associato al proprio cognome? L’ordinanza non specifica questo aspetto, perché non rientra nel caso della ricorrente, ma se il messo può identificare l’appartamento tramite il numero civico interno e i registri condominiali, teoricamente non dovrebbe scattare l’irreperibilità assoluta. La contraddizione con un’ordinanza di giugno scorso (dove la Cassazione scrive che la mancanza del nome non consente la procedura per irreperibilità assoluta) lascia aperto un vuoto normativo proprio su questi casi intermedi.

L’interpretazione della giurisprudenza non è univoca

La Cassazione ha respinto anche gli altri due motivi di ricorso. Sulla tardiva notifica delle cartelle ha dichiarato inammissibile l’eccezione di decadenza: la mancata impugnazione tempestiva delle cartelle regolarmente notificate rende il credito tributario irretrattabile, secondo le Sezioni Unite. Sul vizio di motivazione ha escluso che un evidente “copia e incolla” su una giurisprudenza non pertinente rovinasse la coerenza complessiva della sentenza impugnata.

Come accennato, l’ordinanza si inserisce in un filone giurisprudenziale non univoco. Con l’ordinanza 17649 del giugno 2025 la stessa Cassazione aveva affermato che la mancanza del nome sul citofono non autorizza la notifica per irreperibilità assoluta. La contraddizione evidenzia la necessità di interventi normativi chiari su un tema che riguarda milioni di cittadini che si spostano da una casa all’altra.

La sentenza costa alla ricorrente 2.200 euro di spese processuali più il contributo unificato raddoppiato previsto per i ricorsi respinti. Per il resto degli italiani, il conto più salato è quello dell’incertezza giuridica in un contesto dove il confine tra residenza formale ed effettiva è sempre più sfumato. Nel dubbio, meglio essere sicuri di essere chiaramente reperibili.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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