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‘Vite ostaggio della colite ulcerosa’, storie di pazienti e tabù da spezzare

(Adnkronos) – “A 20 anni, quando ho ricevuto la diagnosi” di colite ulcerosa, “non capivo cosa significasse malattia cronica. Il significato di ‘per sempre’ l’ho imparato sulla mia pelle”, racconta Mario, 45 anni. All’inizio, dice Lucia, 32 anni, “odiavo il mio corpo e la mia vita. Passavo le giornate in bagno”, “non riuscivo a pensare di avere una vita sociale, figuriamoci una vita di relazione. Nonostante la disperazione, però, sentivo un bisogno più forte di andare avanti, uscire dall’isolamento sociale e dall’imbarazzo”. Le fa eco Carla, 53 anni: “Mi spingo oltre i limiti per dimostrare a me stessa che sono normale”, “ho perso molti anni a causa della malattia”, “ho un lavoro stimolante, ma le mie paure rimangono”. C’è tutto il peso della convivenza con i sintomi di una patologia difficile nelle testimonianze dei pazienti con colite ulcerosa, diffuse oggi in occasione di un incontro a Milano. I loro desideri? Semplicemente “vivere, stare con la famiglia” e le “persone care”, dice Antonio, 43 anni, a cui la malattia “ha preso un pezzo di intestino”. La colite ulcerosa in realtà si prende anche di più: nella fase acuta, nei momenti più duri, ruba “felicità”, giorni di scuola e lavoro. “Andavo in bagno anche 13 volte al giorno ed era sempre un’urgenza – racconta Luca, 55 anni – Era diventata un’ossessione, oltre che un limite a ogni aspetto della socialità”. Parlarne, spiegare la malattia, è anche il primo passo per cancellare lo stigma che pesa sulle persone affette da colite ulcerosa.  “A un certo punto nella vita di un ragazzo, o di un giovane adulto fra i 15 e i 30 anni, si innesca un processo infiammatorio nella parte più interna del colon, compaiono le ulcerazioni”, descrivono gli specialisti in occasione dell’annuncio da parte dell’azienda Lilly sul via libera ottenuto dall’Agenzia italiana del farmaco Aifa alla rimborsabilità di mirikizumab, primo antagonista dell’interleuchina-23p19 per il trattamento della colite ulcerosa attiva, da moderata a grave, nei pazienti adulti. Un farmaco che colpisce selettivamente una delle vie di infiammazione cruciali nello sviluppo della malattia e punta a offrire sollievo dai sintomi chiave.  In Italia oltre 150mila persone vivono con la colite ulcerosa, tanti i giovani (il 25% delle diagnosi è sotto i 18 anni), un impatto in aumento. “La malattia colpisce la persona nella sua globalità – spiega Salvo Leone, direttore generale dell’associazione pazienti Amici Italia (Associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino) – ha sintomi difficili da raccontare, spinge il paziente all’isolamento. E questo si ripercuote sulla sua vita lavorativa e scolastica. Spesso ci si deve assentare” per via degli impedimenti della malattia e questo “significa anche perdita di produttività”. I disturbi irrompono prepotenti nella quotidianità e turbano anche “il sonno”, il riposo. Tra i sintomi ritenuti più impattanti infatti c’è l’urgenza intestinale. Urgenza anche notturna, dicono i pazienti.  Uno studio (Confide, condotto da Eli Lilly) ha esplorato e acceso una luce sul vissuto delle persone con colite ulcerosa, sia negli Usa che in 5 Paesi europei, Italia compresa. I dati raccolti mostrano che il 73,9% degli europei con la malattia riferisce di aver sperimentato urgenza intestinale almeno una volta a settimana nei 3 mesi prima dell’indagine (gli altri sintomi più comuni riportati sono diarrea e aumento della frequenza di evacuazione), il 37% ha confidato di aver indossato pannolini, assorbenti o protezioni almeno una volta in 3 mesi. L’urgenza di andare in bagno e la paura di incidenti sono le ragioni più frequenti per rifiutare la partecipazione ad attività sociali e più di un paziente su 3 ha ammesso che questa urgenza ha influenzato negativamente la vita scolastica e lavorativa.  “Anche i familiari sono colpiti”, continua Leone, che è anche chairman della European Federation of Crohn’s & Ulcerative Colitis Associations – Efcca, perché vivono indirettamente le conseguenze di questa sofferenza sperimentata dai loro cari. “Credo che lo stigma sia frutto del non sapere – riflette – è importante parlarne raccontando la malattia a chi non ce l’ha”, spiegando cosa comporta. “Di recente abbiamo condotto un’indagine su un campione di 1.950 persone: il 70% ha avuto un impatto sulla vita lavorativa e di queste 6 su 10 hanno dovuto prendere periodi di congedo a causa della malattia”.  E’ un problema crescente quello delle malattie Mici, non si può ignorare e va gestito al meglio, avvertono gli esperti, Alessandro Armuzzi dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano, ordinario di gastroenterologia all’Humanitas University, e Massimo Claudio Fantini, ordinario di gastroenterologia all’università degli Studi di Cagliari, Aou di Cagliari. “Le malattie infiammatorie croniche intestinali – ragiona Armuzzi – erano nei decenni scorsi malattie principalmente di Europa, Nord America e Australia. In 20-30 anni l’epidemiologia è molto cambiata: nel nostro mondo c’è sì un aumento di incidenza, ma ora vediamo picchi a livello dei nuovi Paesi industrializzati, vediamo picchi in Cina, India, Brasile, dove cioè le condizioni di vita sono cambiate. Questo ci fa pensare che è proprio qui”, in questi cambiamenti, “che occorre andare a cercare” per capire i motori di queste malattie.  “Ci sono ipotesi secondo cui un eccesso di antibiotici nella prima l’infanzia possa favorire l’insorgenza”, elencano i due specialisti. “Anche lo stress” è un osservato speciale e “quell’asse intestino-cervello che ormai sappiamo esistere”. C’è un microbiota alterato nei pazienti con la malattia. Insomma più elementi, segnalati da “tanti piccoli studi, ma – conclude Armuzzi – ancora non sappiamo esattamente”.  —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

© Riproduzione riservata

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