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Acqua più preziosa del petrolio in Medio Oriente dove l’approvvigionamento idrico sta diventando sempre più critico, in particolare in Giordania e in Iraq, colpiti dalle crisi climatiche e migratorie. La Svizzera assicura di voler mettere a disposizione le proprie competenze in questo settore, come ha indicato il consigliere federale Ignazio Cassis recentemente in visita nella regione.
L’Iraq, che conta 46 milioni di abitanti, si rifornisce di acqua principalmente attraverso il Tigri e l’Eufrate. Ma questa risorsa negli ultimi anni tende a scarseggiare. La situazione è particolarmente critica per l’agricoltura. “L’acqua è ormai più importante del petrolio”, ha detto a Keystone-Ats il capo del Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) a margine del suo tour in Medio Oriente la scorsa settimana. Sono più le guerre che scoppiano per l’acqua che per il petrolio, ha fatto notare.
L’Asia centrale e il Medio Oriente sono particolarmente colpiti da questo fenomeno. Il ticinese ha dichiarato di voler rafforzare i programmi esistenti sul posto, senza fornire cifre precise. Anche la presidente del Consiglio nazionale Maja Riniker (Plr/Ag), che ha accompagnato Cassis nel viaggio, è rimasta colpita dalla rilevanza dell’acqua in questa regione. “Questo tema è stato onnipresente nei miei incontri con i miei omologhi, in particolare in Giordania e in Iraq”, ha raccontato.
La deputata intende portare la questione all’attenzione del parlamento una volta terminato il suo mandato di prima cittadina della Confederazione a dicembre. Come Cassis, ritiene che la Svizzera possa contribuire con il proprio know how. “Le proiezioni relative allo stress idrico, ovvero quando la domanda di acqua supera le risorse disponibili, mostrano effettivamente che la regione del Medio Oriente è direttamente toccata”, sottolinea Christian Bréthaut, direttore scientifico del Geneva Water Hub e professore associato di buon governo idrico all’università di Ginevra. Il Geneva Water Hub è un istituto di ricerca e politica idrica con sede nella città di Calvino. Fondato dalla Confederazione e dall’ateneo ginevrino, si occupa in particolare di diplomazia dell’acqua per prevenire e risolvere i conflitti legati all’oro blu.
La Svizzera attualmente offre sostegno tecnico e diplomatico nella gestione delle risorse idriche nel mondo attraverso la sua linea d’azione Blue Peace. Una filiale è presente in Medio Oriente. L’iniziativa mira a facilitare il processo di dialogo tra gli Stati della regione. Uno dei suoi attori chiave è la Turchia, dove nascono Eufrate e Tigri, spiega Bréthaut. Il Paese è molto più stabile rispetto all’Iraq o alla Siria, che hanno minori capacità di reazione.
Si avvertono tensioni: le autorità irachene hanno più volte attribuito alle dighe lungo i due fiumi situate in territorio turco la significativa riduzione della loro portata. Baghdad afferma di ricevere oggi meno del 35% della quota d’acqua di questi due fiumi assegnata al Paese, i cui sistemi di gestione delle risorse idriche sono carenti. La situazione è critica anche in Giordania, una delle nazioni più povere al mondo in termini di risorse idriche. Il paese si trova in una situazione particolarmente difficile a causa dell’afflusso di rifugiati, soprattutto siriani. Alcuni anni fa Berna ha sostenuto l’apertura di un centro di diplomazia dell’acqua nella capitale Amman.
Queste iniziative nel settore cruciale dell’acqua consentono alla Svizzera di esercitare un’influenza nella regione, che riveste un interesse strategico sempre più importante? “Certamente”, risponde Bréthaut. “Ma il paese si concentra maggiormente sui suoi buoni uffici, nonostante sia molto competente nella gestione delle risorse idriche”. I buoni uffici sono stati uno dei temi principali affrontati durante la visita di Cassis in Iraq. Il paese, in fase di ricostruzione dopo decenni di guerra, vuole posizionarsi come mediatore.
Per quanto riguarda il timore che possano scoppiare guerre per l’acqua, Bréthaut constata un cambiamento. La presa in ostaggio della diga di Mosul in Iraq da parte del sedicente Stato islamico (Isis) nel 2014 è stato uno dei primi segnali d’allarme che un’infrastruttura idrica può essere utilizzata come arma di guerra, spiega. Questo tipo di attacchi, finora tabù, si è poi ripetuto in altri conflitti, come in Ucraina, Sud Sudan e Siria. “Detto questo, dal 1940 sono scoppiati una trentina di conflitti legati all’acqua, contro oltre 300 accordi firmati”, afferma lo specialista.
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