Il successo della procreazione medicalmente assistita (Pma) in età avanzata dipende dalla qualità dell’ovulo e, se donato o crioconservato, il tasso di successo aumenta. A confermarlo è uno studio condotto nel Regno Unito, intitolato ‘Shifting the reproductive window: The contribution of Art and egg donation to fertility rates in the Uk’, il quale ha rivelato un dato fondamentale per chi posticipa la genitorialità.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Population Studies il 27 ottobre 2025, è stato realizzato da Luzia Bruckamp della London School of Economics and Political Science e Ester Lazzari del Wittgenstein Centre for Demography and Global Human Capital. La sua importanza risiede nel fatto che fornisce la prima analisi demografica specifica per età che distingue l’impatto dei trattamenti con ovuli propri (autologhi) e quelli con ovuli donati o crioconservati, colmando una lacuna critica nella comprensione di come queste diverse tecnologie stiano effettivamente plasmando i tassi di fertilità nel tempo.
La scoperta principale è che, dai 43 anni in poi, i nati tramite Pma derivano “predominantemente” da trattamenti che utilizzano ovuli donati e crioconservati. Questo risultato ha implicazioni significative per la comunicazione sulla salute pubblica, poiché il fatto che il successo in età avanzata sia improbabile con gli ovuli propri potrebbe accrescere la crisi demografica.
Metodologia e analisi dei dati
Per colmare la lacuna di conoscenza sull’impatto dei diversi tipi di Pma sui tassi di fertilità, le autrici hanno attinto a dati completi e di lungo periodo del Regno Unito, un Paese con una lunga tradizione nell’uso della Pma. La fonte primaria è stata il Registro Hfea (Human Fertilisation and Embryo Authority), l’ente regolatore indipendente che supervisiona i trattamenti di fertilità in tutte le cliniche autorizzate del Regno Unito.
Il set di dati analizzato copre tutti i trattamenti di Pma eseguiti tra il 1991 e il 2018, includendo 1.238.136 cicli di trattamento e 519.883 pazienti uniche al loro primo ciclo. L’analisi si è concentrata su sei fasce d’età predefinite (18–34, 35–37, 38–39, 40–42, 43–44 e 45–50). Per determinare i tassi di trattamento e di successo, lo studio si è limitato ai primi cicli di trattamento intrapresi dalle pazienti, in modo da poter descrivere la probabilità di successo a livello individuale. Al contrario, per calcolare il contributo della Pma ai tassi di fertilità specifici per età e al tasso di fertilità totale, sono state considerate le nascite risultanti da tutti i trattamenti, indipendentemente dal numero di cicli precedenti. I dati sulla fertilità della popolazione generale sono stati integrati tramite l’Human Fertility Database (Hfd).
Risultati
I risultati hanno confermato l’aumento costante dell’uso della Pma nel Regno Unito, il cui contributo al tasso di fertilità totale nel 2018 era del 3%. Tuttavia, il contributo della Pma è molto più elevato e in rapida crescita nelle fasce d’età più avanzate: per le donne di 45-50 anni, la Pma ha contribuito al 14,9% dei tassi di fertilità specifici per età nel 2018.
Ciò che è emerso è un divario nel successo dei trattamenti:
- Con ovuli propri, il successo cala drasticamente con l’età. Mentre il 33% dei trasferimenti di embrioni con ovuli propri portava a una nascita di neonati vivi per le donne tra i 20 e i 35 anni, questa percentuale scende al 5% o meno per le donne di 43 anni e oltre. Inoltre, per le due fasce d’età più anziane (fino ai 50 anni), i tassi di successo con ovuli propri hanno mostrato scarso miglioramento nel tempo, rimanendo inferiori al 5%.
- Con ovodonazione, i tassi di successo dei trattamenti sono rimasti relativamente simili in tutte le fasce d’età della ricevente. Nello specifico, per le donne tra i 45 e i 50 anni, l’utilizzo di embrioni da ovuli donati o crioconservati ha portato a un tasso di nascita viva del 32,9%.
Questa netta differenza si traduce in una forte dipendenza dall’ovodonazione per le donne over 40. Già nella fascia 43-44 anni, nel 2018, il 53,7% di tutte le nascite da Pma era dovuto all’uso di ovuli di donatrice. Questa percentuale aumenta drasticamente: nel 2018, ben il 92,3% di tutti i nati tramite Pma nella fascia d’età 45-50 anni è risultato da trattamenti che utilizzavano ovuli donati. Questo spiega perché i tassi di successo complessivi (che aggregano entrambi i tipi di trattamento) mostrano un aumento nella fascia 45-50 anni rispetto ai 43-44 anni, un fenomeno attribuibile all’alta percentuale di ovodonazioni effettuate nel gruppo con età maggiore.
Implicazioni per la salute pubblica
I risultati dello studio indicano chiaramente che il recupero della fertilità in età avanzata è “improbabile” che abbia successo con la Pma che utilizza gli ovuli della paziente. Il fatto che il successo della Pma in età avanzata si basi quasi interamente su ovuli giovani (ottenuti tramite donazione o crioconservazione preventiva) dimostra che l’età materna rimane un vincolo biologico fondamentale, anche in presenza delle tecnologie di riproduzione assistita.
Le autrici dello studio concludono che l’ovodonazione e la crioconservazione degli ovuli appaiono “indispensabili” per supportare la fertilità in età avanzata tramite Pma. Il problema è che molte persone credono erroneamente di poter contare sulla fecondazione in vitro con i propri ovuli anche più tardi nella vita, ed è qui che la comunicazione sulla salute pubblica deve essere migliorata.
“I nostri risultati indicano che è altamente improbabile che il recupero della fertilità in età avanzata abbia successo con la procreazione assistita utilizzando gli ovuli della paziente stessa – ha spiegato la dottoressa Lazzari -. La donazione e il congelamento degli ovuli possono migliorare le probabilità di concepimento, ma presentano anche importanti limiti che li rendono insufficienti a compensare completamente la perdita di fertilità associata al ritardo della gravidanza. Questi risultati sono un messaggio importante non solo per il Regno Unito, ma per le società di tutto il mondo, dove la procreazione ritardata sta diventando sempre più comune”.
Infine, gli autori suggeriscono che, parallelamente a una migliore informazione, le politiche dovrebbero mirare a creare condizioni sociali ed economiche che rendano la genitorialità più fattibile in età più giovane, riducendo la dipendenza da complesse tecnologie riproduttive.
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