“Mi chiedevo perché mi sentissi così ansiosa nel non fare nulla”. Woopsyang, artista visiva trentenne in pieno burnout, si era posta questa domanda nel 2014 prima di inventare la Space Out Competition. Undici anni dopo, l’11 maggio 2025, Park Byung-jin – musicista punk trentasettenne della band Pogo Attack – ha portato a casa il trofeo dell’edizione di quest’anno rimanendo seduto e immobile per 90 minuti sul Jamsu Bridge di Seoul.
Niente telefono, niente parole, niente risate. Solo il battito del cuore monitorato da un braccialetto, più stabile di tutti gli altri 127 concorrenti. A fare notizia, però, non è la vincitrice, quanto l’idea stessa della Space Out Competition, considerata un vero e proprio sport agonistico in Corea del Sud.
Il vincitore di quest’anno, ascoltato dal National Geographic, ha dichiarato: “A un certo punto ho dimenticato dove fossi […] è stato come se il mio corpo fosse scomparso”.
Come nasce la gara del non fare nulla
Woopsyang aveva trent’anni quando il suo corpo ha detto basta. Il burnout l’ha costretta a fermarsi, ma fermarsi in Corea del Sud genera un’ansia specifica: quella di restare indietro mentre tutti corrono, una dinamica molto simile a quella che si verifica in Giappone. “Mi confrontavo continuamente con persone impegnate in vite frenetiche”, ha raccontato. A un certo punto Woopsyang ha intuito che dietro quell’apparente produttività collettiva si nascondeva lo stesso bisogno represso di staccare la spina e nel 2014 ha organizzato la prima gara dove il “non fare nulla” passava da motivo di vergogna a motivo di trionfo.
In un Paese dove l’85% dei lavoratori soffriva di burnout a causa di giornate lavorative oltre le 10 ore, e dove il fenomeno del gwarosa – morte per eccesso di lavoro – continua a mietere vittime, la competizione assumeva un significato politico. “Questo concorso comunica che staccare la spina non è più uno spreco di tempo, ma piuttosto una necessità cruciale”, ha spiegato l’artista. Nel 2020, il 70% dei lavoratori sudcoreani ha sperimentato l’esaurimento, registrando un aggravamento del fenomeno.
Le regole: 90 minuti immobili e monitoraggio del battito cardiaco
I partecipanti devono rimanere seduti per 90 minuti senza addormentarsi, senza usare il telefono, senza parlare e senza ridere. La tentazione di muoversi, di controllare le notifiche, di reagire agli stimoli esterni si rivela insopportabile per molti. Chi trasgredisce queste regole, semplici solo all’apparenza, viene eliminato.
Il sistema di valutazione mescola dati fisiologici e giudizio del pubblico.
Ogni concorrente indossa un braccialetto che monitora la frequenza cardiaca ogni 15 minuti. Vince chi riesce a tenere il battito più stabile e a raggiungere la calma profonda. Anche l’outfit e la scelta stilistica sono oggetto di valutazione: il pubblico determina il voto artistico, ciascuno può votare i suoi dieci concorrenti preferiti.
L’esperienza di Park Byung-jin
Park Byung-jin ha descritto un’esperienza ai confini della meditazione: “Col passare del tempo ho iniziato a dimenticare dove mi trovavo. Sentivo come se il mio corpo fosse scomparso”. Per lui e i suoi compagni di band, che alternano giorni lavorativi a concerti nei fine settimana senza pause, la competizione ha rappresentato una rara opportunità di svuotare la mente.
La vittoria non è arrivata per caso: la fisiologia ha contato per circa il 40% del successo, ma la componente mentale – la capacità di lasciarsi andare davvero – si è rivelata determinante.
Medaglie a parte, sono i numeri dell’edizione 2025 a dover stimolare una riflessione: 4.547 candidati hanno fatto domanda per partecipare alla Space Out Competition. Tra i 128 partecipanti selezionati c’erano militari, vigili del fuoco, assistenti sociali, ingegneri aeronautici e atleti olimpici. Kwon Y-gy, medaglia d’argento di pattinaggio di velocità, ha ammesso a 34 anni di non aver mai fatto una vera pausa dal lavoro in 30 anni di allenamento. La sua presenza testimonia quanto il problema attraversi ogni professione e ogni estrazione sociale.
La valutazione: come si misura l’immobilità
Il braccialetto cardiofrequenzimetro è lo strumento centrale della competizione. Registra il battito ogni 15 minuti e genera un punteggio che pesa per il 40% del risultato finale. Ma la frequenza cardiaca non è tutto: conta anche l’impressione che il concorrente trasmette al pubblico, la sua capacità di incarnare quella quiete che tutti cercano e nessuno trova (determinante per la componente artistica del voto).
Woopsyang ha concepito la competizione anche come performance artistica: mentre i concorrenti restano immobili, il pubblico si muove continuamente attorno a loro, creando un contrasto visivo tra chi pratica l’ozio e chi è intrappolato nella frenesia.
Il sistema di valutazione bilanciato riflette l’idea che il “non fare nulla” non sia un atto passivo ma una capacità che richiede allenamento mentale, consapevolezza del proprio corpo, capacità di resistere agli stimoli. Kwon So-a, vincitrice dell’edizione 2024, ha spiegato: “Soprattutto in Corea, è un ambiente incredibilmente competitivo dove le persone sentono che non fare nulla significa restare indietro. Credo che tutti dovrebbero trovare il proprio ritmo e a volte semplicemente rallentare”.
Cosa denuncia la Space Out Competition
I lavoratori sudcoreani lavorano in media 44,6 ore settimanali, contro le 32,8 ore medie dei Paesi Ocse. Nel 2023, il governo ha tentato di aumentare l’orario massimo settimanale da 52 a 69 ore, scatenando la rivolta della generazione MZ (Millennial e Gen Z) che ha definito la proposta “irresponsabile e disumana”. L’iniziativa è stata ritirata, ma la tensione tra produttività economica e benessere resta irrisolta.
La competizione di Woopsyang mette il dito esattamente su questa ferita: in una cultura che premia l’abnegazione fino all’autodistruzione, fermarsi richiede coraggio e legittimazione sociale.
Che il burnout non sia solo un problema coreano, lo dice il successo di questa iniziativa: dal 2014 ad oggi, la Space Out Competition si è espansa a Pechino, Rotterdam, Taipei, Hong Kong e Tokyo, città accumunate da ritmi di vita insostenibili. Il governo metropolitano di Seoul ha abbracciato l’iniziativa, trasformandola in evento ufficiale con l’obiettivo di rendere il fiume Han “un luogo che offre riposo ed energia più freschi nella vita quotidiana dei cittadini”.
Park Byung-jin, dopo la vittoria, ha ammesso che la vera conquista non è stata il trofeo ma l’esperienza stessa. Novanta minuti in cui il corpo scompare, la mente si svuota, il battito rallenta.
La competizione offre la possibilità di fermarsi senza sensi di colpa, anzi con il consenso e persino l’ammirazione degli altri.
Quando la protesta rischia di diventare spettacolo
Resta però una contraddizione da non ignorare. La Space Out Competition attrae migliaia di candidati e genera copertura mediatica internazionale. Le immagini di persone immobili su stuoie yoga circolano sui social, accumulano visualizzazioni, diventano contenuto.
Quando partecipare a una gara sul non fare nulla richiede mesi di attesa, candidature competitive e preparazione mentale, forse il cortocircuito è già avvenuto. L’evento rischia di trasformarsi da strumento di denuncia in fenomeno da fotografare e condividere, l’ennesima esperienza da aggiungere alla lista delle cose fatte, l’ennesima performance da documentare. Questa ambiguità non invalida il valore dell’iniziativa, ma invita a non dover trovare qualcosa di produttivo anche nell’ozio più totale.
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