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Dazi cinesi sul lattiero-caseario Ue: scatta la fase operativa

Da domani Pechino applicherà dazi provvisori su una parte mirata ma rilevante delle importazioni lattiero-casearie dall’Unione europea. Le aliquote, comprese tra il 21,9 e il 42,7 per cento, riguarderanno formaggi freschi e trasformati, latte e creme. La misura è formalmente tecnica, ma il suo peso va misurato nella sequenza di decisioni che da oltre un anno scandisce il deterioramento del rapporto commerciale tra Bruxelles e la Cina.

Il provvedimento non arriva in un vuoto regolatorio. È l’esito operativo di un’indagine anti sussidi avviata il 21 agosto 2024, esattamente il giorno successivo all’annuncio europeo di dazi aggiuntivi sui veicoli elettrici prodotti in Cina, e portata ora a una prima soglia di applicazione concreta. Il settore colpito non è casuale: l’agroalimentare europeo è esposto, politicamente sensibile e distribuito su più Stati membri. La scelta cinese introduce un fattore di pressione immediata su filiere reali, mentre il contenzioso più ampio con l’Unione resta aperto su altri tavoli.

Cosa cambia per l’export lattiero-caseario europeo

Le tariffe annunciate dal ministero del Commercio cinese incidono direttamente sull’accesso al mercato di una gamma di prodotti che negli ultimi anni aveva consolidato una presenza stabile in Cina. Latte, creme e formaggi europei avevano intercettato una domanda in crescita, soprattutto nelle aree urbane, grazie a un posizionamento legato alla qualità e alla trasformazione industriale. L’introduzione di dazi fino al 42,7 per cento altera questo equilibrio in modo immediato, comprimendo margini e riducendo la competitività rispetto ai produttori locali e ad altri fornitori internazionali.

Il carattere provvisorio delle misure non ne attenua gli effetti. Le tariffe si applicano da subito e restano in vigore fino alla conclusione dell’indagine, prevista per febbraio 2026. In questo arco temporale, le imprese europee devono decidere se assorbire il costo aggiuntivo, rivedere i listini o ridurre i volumi destinati alla Cina. In tutti i casi, l’incertezza diventa un fattore strutturale: i contratti di fornitura vengono rinegoziati, le spedizioni rallentate, le scelte commerciali subordinate a un quadro regolatorio instabile.

La struttura delle aliquote, differenziate per azienda e categoria di prodotto, introduce inoltre un elemento selettivo. Le imprese ritenute cooperative nell’ambito dell’indagine beneficiano di livelli tariffari inferiori, mentre per altri operatori si applicano le aliquote più elevate. Questo meccanismo incide sulla concorrenza interna all’export europeo, creando asimmetrie tra produttori che operano sugli stessi mercati ma con condizioni di accesso diverse.

Dal punto di vista macroeconomico, il settore lattiero-caseario non rappresenta la voce principale dell’export Ue verso la Cina, ma ha un peso specifico in alcune economie nazionali e in filiere territoriali ad alta intensità occupazionale. La contrazione delle vendite verso Pechino rischia di riflettersi sull’offerta interna europea, con effetti a catena su prezzi, stoccaggi e politiche di sostegno agricolo. È su questo terreno che una misura commerciale circoscritta può produrre conseguenze politiche più ampie.

L’indagine anti sussidi

La base formale dei dazi è l’indagine antisussidi avviata il 21 agosto 2024 dal Ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese, su richiesta della Dairy Association of China e della China Dairy Industry Association. Secondo le autorità cinesi, le verifiche preliminari avrebbero accertato tre elementi: l’esistenza di sovvenzioni a favore dei prodotti lattiero-caseari europei, il verificarsi di danni sostanziali all’industria nazionale e un nesso causale tra i due fattori.

Nel comunicato ufficiale non vengono dettagliati i singoli strumenti di sostegno contestati, ma il riferimento implicito è al sistema europeo di aiuti agricoli. La Politica agricola comune prevede pagamenti diretti, misure di mercato e programmi di promozione che Bruxelles considera compatibili con le regole multilaterali. Pechino, tuttavia, opera una valutazione autonoma, applicando la propria normativa interna e richiamando le discipline dell’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative.

Il ministero del Commercio sottolinea che l’indagine è stata condotta nel rispetto delle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il richiamo all’Omc serve a legittimare l’adozione di dazi provvisori, uno strumento previsto dal quadro multilaterale in presenza di elementi preliminari sufficienti. Al tempo stesso, delimita il perimetro di un eventuale contenzioso: Bruxelles può contestare nel merito le conclusioni cinesi, ma deve muoversi su un terreno procedurale complesso e dai tempi lunghi.

L’indagine resterà formalmente aperta fino a febbraio 2026. In questo periodo, Pechino mantiene la facoltà di modificare o rendere definitive le misure. La flessibilità temporale è parte integrante dello strumento: consente di calibrare la pressione senza impegnarsi subito in una decisione irreversibile, lasciando spazio a sviluppi negoziali su altri dossier.

Agroalimentare come leva di pressione

La decisione di colpire il lattiero-caseario europeo risponde a una logica che va oltre il settore interessato. L’agroalimentare è una leva efficace perché distribuisce l’impatto su più Stati membri e su territori politicamente sensibili. Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Germania e Italia presentano livelli di esposizione diversi verso il mercato cinese, con conseguenze asimmetriche che rendono più difficile una risposta europea uniforme.

Nel Consiglio, questa asimmetria si traduce in posizioni differenziate. I Paesi maggiormente coinvolti dalle esportazioni lattiero-casearie tendono a privilegiare un approccio prudente, orientato a contenere l’escalation e a mantenere aperti i canali tecnici con Pechino. Altri governi, meno esposti sul fronte agricolo, guardano invece al rischio di un precedente: l’uso di misure settoriali come strumento di pressione potrebbe essere replicato su altri comparti.

La Commissione europea si trova così a gestire una tensione strutturale tra competenza esclusiva in materia commerciale e impatti nazionali delle decisioni. Le contromisure disponibili sono limitate e politicamente costose, mentre il ricorso agli strumenti multilaterali non offre soluzioni rapide. In questo spazio di incertezza, la misura cinese produce il suo effetto principale: aumentare il costo politico della linea europea senza spostare formalmente il confronto su un piano di rottura.

Per Pechino, l’agroalimentare rappresenta un campo di intervento a bassa visibilità internazionale ma ad alta resa politica. Non mette in discussione i grandi equilibri industriali, ma incide su filiere concrete e su interessi diffusi. Il risultato è una pressione frammentata, che attraversa le capitali europee e condiziona il clima delle relazioni bilaterali. In assenza di una strategia comune capace di assorbire questi shock settoriali, l’Unione rischia di trovarsi a reagire caso per caso, con margini sempre più ridotti di iniziativa.

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content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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