Sicurezza, cooperazione, stabilità, dialogo. Queste le parole chiave che hanno attraversato i lavori della conferenza ‘Nato in the South – Strategic Reflections and Cooperative Security’ organizzata a Roma dalla Nato Defense College Foundation per discutere dell’importanza per l’Alleanza del cosiddetto ‘fianco Sud’. Con l’invasione dell’Ucraina, infatti, l’Est è diventato prioritario ma, come sottolineato dagli esperti intervenuti, i due orizzonti sono connessi, perché oggi più che mai tutto è legato.
“Non esiste più un “altrove” nella sicurezza”, ha affermato Ken Kitatani, board of directors, Governance officer dell’International Council on Environmental Economics (Iceed). “La sicurezza nello spazio euro-atlantico inizia a Sud tanto quanto a Est”, ha confermato Ahmad Masa’deh, ex segretario generale dell’Unione per il Mediterraneo ad Amman (Giordania).
Un approccio a 360°
Ecco perché “l’approccio alla nostra sicurezza deve essere a 360°“, come ha sottolineato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che per l’occasione ha inviato un messaggio letto in apertura di lavori. “Dall’Ucraina al Sahel, il fronte della sicurezza Atlantico è uno solo – ha specificato il ministro – e inizia dalle nostre coste meridionali. Garantirla significa proteggere le nostre società, la nostra economia, il nostro futuro”. Ecco perché “l’Italia è ovunque in prima linea: a fianco di Kiev e degli alleati, nell’attenzione sull’area dei Balcani” e nella creazione di “una più strutturata azione per la stabilità del Mediterraneo allargato e dell’Africa”. Senza dimenticare “il moltiplicarsi delle minacce ibride, in particolare alla Libia e al Sahel”.
“Le questioni in gioco: stabilità politica, sviluppi strategici, cooperazione regionale, la società civile“, ha ricordato Alessandro Minuto-Rizzo, presidente della Nato Defende College Foundation dando l’avvio ai lavori.
“Questo è il motivo per cui, al vertice di Washington nel 2024, gli Alleati hanno riaffermato l’importanza dell’approccio a 360° della Nato. Le minacce dal Sud e quelle dall’Est non sono in competizione tra loro. Si sommano e si rafforzano a vicenda”, ha spiegato Catherine Bourdès, direttrice Academic Plans, Policy and Engagement presso il Nato Defense College di Roma.
D’accordo Kitatani: ”La sicurezza nel Sud non è più una categoria regionale. È un fattore determinante per la stabilità globale. Da un approccio di sicurezza a 360° al credibile pilastro europeo all’interno della Nato: governance, sviluppo, energia, migrazione e deterrenza sono ora inseparabili”.
Per Matthew Robinson, direttore dell’Euro-Gulf Information Centre di Roma, “l’approccio a 360° è “uno dei modi per evitare di arrivare a un Articolo 5”, perché riguarda “non solo la gestione delle crisi o la difesa/deterrenza, ma anche la prevenzione delle crisi stesse”. Ovvero, due compiti fondamentali della Nato a cui si aggiunge il terzo: la sicurezza cooperativa, che “fa parte di questo approccio a 360°” perché “collega insieme gli sforzi militari, civili e di sviluppo”.
Tuttavia, ha chiarito Oumar Ba, professore presso il Centre d’Études Diplomatiques & Stratégique di Parigi e il Sciences Po di Bordeaux, “un approccio a 360° richiede un cambiamento di prospettiva”. Nello specifico, “per decenni siamo stati analizzati, mappati, formulati, problematizzati eppure raramente consultati”. “La Nato ci guarda principalmente attraverso il prisma del rischio per l’Europa, ma dovete iniziare a comprenderci non come un’area problematica, bensì come una costellazione di centri decisionali strategici”.
“Il vicinato meridionale è un’area di feroce competizione strategica”
Un approccio a 360°, d’altronde, significa che “non esiste una sicurezza regionale a compartimenti stagni”, come ha sottolineato Giovanni Romani, head della Southern Neighbourhood Section, Political Affairs and Security Policy Division del Quartier Generale Nato a Bruxelles.
“Allo stesso tempo – ha continuato -, il vicinato meridionale è un’area di feroce competizione strategica. Attori come la Russia, l’Iran, in una certa misura la Cina, si stanno sempre più posizionando come alternative all’Occidente e in alcuni casi destabilizzano la sicurezza regionale e globale“. Un “sistema a domino” che richiede un “approccio a 360°”.
Lo ha confermato Silvia Colombo, ricercatrice senior e consigliere didattico presso il Nato Defense College a Roma: “Sia la Russia che la Cina sono presenti (nel Medio Oriente e il Nord Africa, ndr) e stanno cercando di rafforzare il loro ruolo”, mentre “la Nato non è stata completamente in grado di sviluppare un pensiero strategico sulla regione che tenga conto delle nuove realtà mutevoli”.
Il dialogo strategico
Ma un approccio a 360° passa obbligatoriamente per il dialogo, termine emerso costantemente nei panel della conferenza. Colombo ha spiegato che “è stata posta troppa enfasi sulla cooperazione pratica militare. Ciò che manca è sfruttare il dialogo politico in modo più strategico”.
Cosa che a volte non avviene, ha spiegato l’esperta, a causa di “divergenze sia all’interno dell’alleanza sia con i nostri partner”. Eppure è “il dialogo politico ciò che permette alle due parti di essere il più possibile sulla stessa lunghezza d’onda per muoversi nella stessa direzione”.
In questa cornice l’Ue, che ha appena lanciato un nuovo patto per il Mediterraneo, potrebbe dare vita a “una sorta di coalizione dei volenterosi, tra partner e alleati Nato, altre organizzazioni internazionali e attori, per andare avanti”, ha suggerito Colombo.
Il dialogo parte comunque da una considerazione di base, sottolineata da Niagalé Bagayoko, presidente dell’African Security Sector Network (Assn) di Parigi: “Senza una conoscenza approfondita delle dinamiche locali, degli ambienti locali, c’è una scarsa possibilità che il dialogo strategico possa essere realmente sviluppato”. C’è dunque un “urgente bisogno di cambiare la lente attraverso la quale guardiamo i partner del Sud”, in particolare per la regione del Sahel.
Proprio riguardo quest’ultima, Ba ha notato che “il deterioramento della sicurezza non è solo il risultato di gruppi armati ma riflette gap di governance aggravati da strategie esterne che non corrispondevano alle dinamiche politiche locali”. Perciò, “vediamo il potenziale per una cooperazione più profonda con la Nato, ma solo se è co-progettata, non imposta”.
“Il supporto di cui abbiamo bisogno è quello che affronta la corruzione, rafforza la capacità commerciale, la trasparenza, l’inclusione economica e la resilienza climatica senza paternalismo o doppi standard”, trattando “il Sud come un attore strategico“, ha continuato.

Di cosa parliamo quando parliamo di Sud
Ma di cosa parliamo quando parliamo di ‘Sud’? La risposta non è banale, perché, come evidenziato da Ian Lesser, consulente del presidente del German Marshall Fund degli Stati Uniti a Bruxelles, “gli Usa guardano a Sud ma intendono l’emisfero occidentale”, mentre “l’Europa e i partner meridionali intorno al Mediterraneo penseranno ai loro rispettivi Sud”.
Ma occorre fare attenzione: “Stiamo parlando del Sud o delle sotto-regioni come se fossero entità omogenee e senza molta differenziazione. In realtà la Nato sta differenziando molto”, ha chiarito Colombo aggiungendo che è proprio quello che l’Alleanza deve fare per cambiare “da un forte approccio bilaterale”, storicamente guidato dalla domanda, a “un approccio multilaterale – sub-regionale o regionale – basato sugli interessi”.
D’altronde, ha sottolineato Minuto-Rizzo, “c’è una direzione che chiamiamo il Sud, che non è definita precisamente, ma è la direzione della sicurezza mondiale”.
Le sfide in gioco
E questa direzione intercetta diverse sfide, come sottolineato da Kitakani: dall’instabilità, che “rimane il carburante più efficiente per l’escalation” all’AI e la tecnologia emergente, fino all’analisi del rischio climatico e delle risorse”. Perché “la fragilità dell’accesso all’acqua, al cibo e all’energia attraverso il Sahel, il Medio Oriente, il Nord Africa e il Golfo non è solo una preoccupazione umanitaria ma è un moltiplicatore di conflitto”.
Carlo Musso, Head Strategic Studies di Leonardo, ha puntato l’attenzione sullo “sviluppo di nuove tecnologie, in particolare i sistemi senza pilota, e sulle realtà della guerra ibrida e della disinformazione”, che “hanno ulteriormente sfumato la distinzione tra sicurezza interna e difesa, portando al concetto di sicurezza globale”.
Gli esperti intervenuti hanno fatto riferimento anche ai flussi migratori e ai diritti umani, oltre alla ricostruzione e stabilizzazione post-conflitto (soprattutto a Gaza), alla criminalità transfrontaliera e al nesso con la criminalità organizzata e il terrorismo.
Per Bagayoko occorre prestare attenzione a tre minacce: la religione, che “non riguarda solo il jihadismo” ma coinvolge sia “il ruolo dell’Islam politico e l’islamizzazione della società” sia “attori come le nuove chiese evangeliste”; il militarismo; il neo-panafricanismo, ovvero l’espressione locale dell’ondata di nazionalismo, patriottismo e sovranismo che sta travolgendo il mondo oggi”. L’esperta ha avvisato: se “la stabilità nella regione (sahel, ndr) arriverà tramite l’alleanza tra queste tre forze, potrebbe basarsi sull’autoritarismo e sul conservatorismo piuttosto che sugli standard democratici liberali”.
Il ruolo degli Usa: verso il disimpegno?
Ovviamente non si può parlare di Nato senza gli Usa e quello che viene considerato da molti il disimpegno dell’amministrazione Trump. Ma a questo riguardo le cose sono sfumate. Per Lesser, quello del disimpegno “è un mito”. Piuttosto, “Trump si sta rivelando un presidente di politica estera. La direzione della politica può piacerci o meno, ma è attivista, non isolazionista, forse iper-unilateralista”. “Se guardiamo alle cose che l’amministrazione ha fatto – Gaza, gli Accordi di Abramo, l’Iran, l’impegno con la Turchia, la Siria, l’azione di normalizzazione nel Mar Rosso -, questo non mi sembra un disimpegno, anzi, c’è una presenza navale e aerea più ampia nel Mediterraneo oggi di quanto non ci sia stata per decenni”.
Certamente la Nato non ha per gli Usa la priorità che aveva decenni fa, ma “le questioni più grandi, in realtà, sono su quanto gli Stati Uniti saranno presenti in Europa nei prossimi decenni”. Mentre, secondo l’esperto, “gli Usa sosterranno l’Alleanza nel fare di più in termini di partnership mediterranee”, ma soprattutto in senso bilaterale. Tra gli interessi che muoveranno gli americani, la connettività e la difesa aerea integrata, che si basa “su un complesso di presenza e di relazioni di sicurezza che sarà critico”, ha concluso Lesser.
Il Pilatro europeo nella Nato
Speculare agli Usa, c’è l’Unione europea, e il ruolo di pilastro che sempre più questa è chiamata a rappresentare all’interno della Nato, trainato dall’esperienza di Paesi come Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, per i quali “il vicinato meridionale non è né distante né astratto”, ha spiegato Bourdès.
Un altro aspetto che rende necessario il pilastro europeo lo ha sottolineato Musso: “Gli Stati Uniti non possono attualmente essere considerati affidabili”, perché la loro posizione “nei confronti della Nato sta cambiando, come dimostra “l’assenza del segretario di Stato Usa Marco Rubio dalla riunione dei ministri degli esteri dell’Alleanza a Berlino, la prima volta in 20 anni”.
“Ci deve essere un ruolo fondamentale per l’Ue e la Nato nella regione del Mediterraneo”, ha detto poi Masa’deh , perché “l’Unione ha una vasta esperienza nel peacekeeping, nel mantenere la cooperazione e nel garantire la longevità di qualsiasi tipo di accordo che raggiungiamo”.
Secondo Lina Khatib, principal analyst presso l’ExTrac di Londra, “ciò di cui la Nato ha davvero bisogno sono capacità integrate politiche, civili, informative e militari”. Infatti, “alcune delle cose che il pilastro europeo può rafforzare sono la consapevolezza narrativa e la consapevolezza della situazione”.
E l’Ue si muove: nell’ottobre 2025 ha lanciato la Carta Mediterranea per la Cooperazione con i Paesi del Mediterraneo meridionale, aperta per il Golfo, l’Africa subsahariana, i Balcani occidentali e la Turchia, e nel 2026 verrà sviluppato il relativo piano d’azione. L’anno prossimo sarà anche presentata una nuova strategia per il Medio Oriente.
Morgane Buttiens, Policy Officer dell’Economic Recovery, Resilience and Security presso la Direzione Generale per il Medio Oriente, il Nord Africa e il Golfo di Bruxelles, ha ricordato che l’Ue ha istituito il primo commissario per il Mediterraneo, Dubravka Šuica e la DG Mena e approvato il Patto per il Mediterraneo, risultato quest’ultimo “di un approccio molto collaborativo con tutti i 10 partner nella regione”, fondato anche sulla sicurezza”. Intesa in senso “molto ampio”, che va “dalla lotta al terrorismo all’estremismo violento, dalla sicurezza marittima alla protezione e resilienza delle infrastrutture critiche, dalle minacce ibride alla mediazione della pace”.
I nuovi scopi della Nato: cooperazione attraverso partnership strategiche
Quanto alla Nato, Minuto-Rizzo ha ricordato due importanti partnership: il Dialogo Mediterraneo e la Nato’s Southern Neighbourhood Initiative, che riguarda 13 Paesi dalla Mauritania nell’Atlantico all’Oman nell’Oceano Indiano, con il relativo piano d’azione. “L’obiettivo di questa partnership è la cooperazione pratica in termini di sicurezza, non i grandi principi politici”.
Anche secondo Romani, bisogna “intensificare il nostro gioco in termini di cooperazione pratica, concentrandoci su ciò che sappiamo fare meglio”, sempre con l’elemento sicurezza di fondo. “Per questo abbiamo programmi di partnership personalizzati”, ad esempio i “pacchetti di costruzione di capacità di difesa (Dcb) per Giordania, Mauritania, Tunisia e Iraq”, e “stiamo cercando di esplorare la cooperazione triangolare“, per poter intervenire in aree dove “è difficile per la Nato farlo direttamente”.
De Gasperi: “La pace è un dovere”
Per cooperare occorre collaborare, infatti “l’unica vittoria duratura è quella che costruiamo insieme”, ha sottolineato Bourdès citando Alcide De Gasperi. Perché, ha concluso l’esperta usando ancora le parole dello statista italiano, “la pace non è un dono”. “È un dovere che richiede chiarezza e realismo”.
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