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Piano di pace al 90%, ma Trump non chiude la distanza tra Ucraina e Russia

Prima una telefonata tra Washington e Mosca, poi l’incontro con Kiev. In mezzo, nessun documento firmato, nessuna data vincolante, nessun testo reso pubblico. La sequenza che porta Volodymyr Zelensky a Mar-a-Lago chiarisce da subito l’impostazione scelta da Donald Trump: prima il contatto diretto con Vladimir Putin, annunciato personalmente e confermato dal Cremlino, poi il confronto con il presidente ucraino. Non un dettaglio di protocollo, ma un ordine politico che definisce il perimetro del negoziato.

Trump non offre certezze sui tempi. “Potrebbe finire o continuare per molto tempo”, dice della guerra, sottolineando che “non è un accordo che si conclude in un giorno”. Zelensky arriva in Florida per consolidare un’intesa su cui Washington lavora da mesi e rivendica che il 90% del piano di pace in 20 punti sia già stato completato. Restano però due nodi centrali: il controllo dei territori orientali e quello della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Su entrambi, le posizioni restano distanti e il tempo non viene scandito da scadenze.

Prima Mosca, poi Kiev: la regia statunitense

È su questo sfondo che prende forma la scelta più significativa della giornata. Prima di sedersi con Kiev, Washington riattiva il canale diretto con Mosca e lo fa al livello più alto. Non per chiudere un’intesa, ma per testare il terreno e fissare un perimetro politico dentro il quale collocare il confronto di Mar-a-Lago.

Il colloquio tra Donald Trump e Vladimir Putin dura un’ora e quindici minuti. È avviato dagli Stati Uniti, ha un “tono amichevole” secondo il Cremlino ed è finalizzato a discutere del conflitto ucraino prima dell’incontro con Volodymyr Zelensky. Trump lo definisce “molto produttivo” e sceglie di renderlo pubblico prima dell’incontro con Zelensky, fissando il quadro politico della giornata.

Mosca conferma senza entrare nel merito. Il portavoce Dmitri Peskov si limita a certificare il contatto, mentre il consigliere presidenziale Yuri Ushakov chiarisce che l’obiettivo americano era discutere del conflitto ucraino prima del vertice di Mar-a-Lago. Viene anche anticipato un nuovo colloquio tra Mosca e Washington dopo l’incontro con Kiev. Il negoziato si muove così su un doppio binario diretto, privo di intermediazioni visibili.

Questa scansione riduce il margine di manovra ucraino. Quando Volodymyr Zelensky arriva al resort di Trump, la cornice è già tracciata. Il presidente americano lo accoglie parlando apertamente della disponibilità di Putin a raggiungere la pace e colloca il confronto in una prospettiva che guarda oltre il rapporto bilaterale Washington-Kiev. La scelta di Mar-a-Lago, residenza privata e non sede istituzionale, rafforza l’impronta personale dell’operazione e segnala una gestione accentrata del dossier.

Il piano in 20 punti e le garanzie di sicurezza

Zelensky entra nel merito ribadendo che il piano in 20 punti resta la base del negoziato. “Il 90% è stato completato”, afferma, precisando che i team hanno lavorato a una strategia graduale per avvicinare la pace. I due punti ancora aperti sono quelli che più pesano: territori e Zaporizhzhia. Per il resto, il presidente ucraino insiste su un elemento che considera decisivo: le garanzie di sicurezza. Al termine dell’incontro chiarisce che su questo capitolo e sulla dimensione militare l’accordo con Washington è totale e che le garanzie rappresentano una condizione imprescindibile per evitare una nuova aggressione.

Trump raccoglie il tema e lo allarga al quadro europeo. “Ci sarà un accordo sulla sicurezza. Sarà un accordo solido. Le nazioni europee sono molto coinvolte”, dichiara. L’Europa viene chiamata a sostenere l’impianto negoziale e la fase successiva, ma non compare nella definizione dei termini politici. Zelensky, dal canto suo, lega le garanzie a un sistema strutturato che includerebbe una forza armata permanente di 800mila soldati, sostenuta finanziariamente dai partner occidentali, e rilancia la richiesta di ingresso nell’Unione europea, possibilmente con una data certa.

Su questo punto Bruxelles resta cauta. I negoziati di adesione sono complessi e alcuni Stati membri evitano di fissare scadenze. Da Mosca arrivano segnali di chiusura: il ministro degli Esteri Sergey Lavrov definisce “target legittimi” eventuali truppe europee dispiegate in Ucraina, respingendo l’ipotesi di una presenza internazionale sul territorio. È una presa di posizione che pesa direttamente sul capitolo sicurezza evocato a Mar-a-Lago e che rende evidente la distanza tra le aspettative di Kiev e le linee rosse russe.

Territori e Zaporizhzhia, i punti di attrito

La questione territoriale resta il principale fattore di frizione. Trump lo riconosce apertamente, osservando che “alcune terre sono già state prese” e che altre potrebbero esserlo nei prossimi mesi. Cita il Donbass come una questione complessa, ancora irrisolta, ma sostiene che convenga arrivare a un accordo. Zelensky risponde richiamando i vincoli interni: ogni decisione dovrà rispettare la legge ucraina e il volere del popolo. Apre alla possibilità di un referendum, ma ribadisce che si tratta di territori che appartengono alla nazione ucraina da generazioni.

Ancora più incerta appare la partita sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Trump afferma in conferenza stampa che Putin avrebbe detto di voler lavorare con Kiev per riaprire l’impianto e arriva a ipotizzare un contributo russo alla ricostruzione dell’Ucraina, anche attraverso forniture energetiche a basso costo. Dichiarazioni che non trovano riscontri concreti e che contrastano con la linea di Zelensky, contrario a qualsiasi gestione condivisa della centrale con Mosca. La Russia, dal canto suo, non ha interesse ad attaccare un sito già sotto il proprio controllo, ma non mostra aperture su una restituzione o su un’amministrazione internazionale.

Sul cessate il fuoco, Trump mantiene una posizione attendista. Riferisce che Putin non ha accettato di fermare i combattimenti per evitare una ripresa successiva delle ostilità e dice di comprenderne la logica. Nel frattempo, i bombardamenti russi continuano. Nel fine settimana precedente all’incontro, attacchi su Kiev hanno causato almeno quattro morti e gravi danni alla rete elettrica della capitale. Una realtà che contrasta con il linguaggio diplomatico utilizzato a Mar-a-Lago.

Il baricentro resta a Washington

Al termine del confronto, i due presidenti scelgono di esporsi pubblicamente senza sciogliere i nodi centrali. Trump parla di un accordo “molto vicino”, ma ammette l’esistenza di “una o due questioni spinose” ancora aperte. Solo poche settimane prima aveva chiesto a Zelensky di accettare un piano di pace entro Natale; ora parla di tempi più lunghi e annuncia un nuovo incontro a gennaio, sempre ospitato da lui, che dovrebbe coinvolgere anche i leader europei.

L’Europa viene così chiamata a entrare in una fase successiva, con un ruolo di sostegno politico, finanziario e di sicurezza. Trump insiste sui potenziali benefici economici di un accordo, sottolineando le “grandi potenzialità” dell’Ucraina e la possibilità di avviare rapidamente progetti di sviluppo. Al tempo stesso minimizza i dubbi sulla volontà di pace di Putin, nonostante i nuovi attacchi russi. “Vuole che accada. Abbiamo parlato a lungo e me lo ha detto con forza. E io gli credo”, afferma, tornando a respingere le accuse sulle interferenze russe nelle elezioni americane del 2016.

Mar-a-Lago non produce un testo condiviso né una scadenza. Definisce però un metodo: il dialogo con Mosca precede quello con Kiev, i nodi più sensibili vengono rinviati, l’Europa viene coinvolta in una fase successiva. Territori, garanzie di sicurezza e Zaporizhzhia restano sul tavolo, senza soluzione immediata, mentre il negoziato procede per contatti diretti e dichiarazioni pubbliche, in un equilibrio ancora lontano dall’essere formalizzato.

Politics

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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