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Yoshitaka Amano, l’artista di Final Fantasy in mostra a Milano dal 13 novembre

(Adnkronos) – Lucca Comics & Games sbarca a Milano con “Amano Corpus Animae”, la più grande retrospettiva mai dedicata in Occidente a Yoshitaka Amano, il visionario artista giapponese che ha segnato l’immaginario di anime, videogiochi e arte contemporanea. Dal 13 novembre 2024 al 1 marzo 2025, la Fabbrica del Vapore ospiterà oltre 100 opere originali, da Tatsunoko a Final Fantasy, ripercorrendo 50 anni di carriera di questo maestro che ha saputo fondere con maestria arte tradizionale e nuovi media. La mostra, curata da Fabio Viola per Lucca Comics & Games con la collaborazione di POLI.design per l’allestimento, offrirà un’immersione nell’universo creativo di Amano, celebrando il suo impatto globale sulla cultura pop. Adnkronos Tech&Games ha incontrato Viola per parlare di questa importante mostra e dell’impatto dell’artista giapponese sulla cultura pop e sull’arte. 
Come è nata l’idea di organizzare la mostra “Amano Corpus Animae” e qual è stato il suo ruolo nel curarla?
 L’idea di “Amano Corpus Animae” è nata da un incontro fortunato. Nel 2022 ho avuto il piacere di conoscere il maestro Yoshitaka Amano e di invitarlo in Italia, alla Reggia di Venaria Reale, dove all’epoca curavo la mostra “PLAY – Videogame, Arte e Oltre”. Approfondendo la sua storia, umana e artistica, mi sono reso conto di un paradosso: uno dei più grandi maestri viventi, le cui opere hanno impreziosito libri, fumetti, anime e videogiochi di successo planetario, esposte regolarmente nei principali musei del mondo, non era mai stato protagonista di una grande mostra europea. Da qui l’incipit di “Amano Corpus Animae”, la più grande retrospettiva mai realizzata sui 50 anni di carriera del maestro nato a Shizuoka, che si terrà dal 13 novembre 2024 al 1° marzo 2025 presso la Fabbrica del Vapore di Milano. Il mio ruolo di curatore è stato quello di fare da ponte tra l’artista e la produzione, a cura di Lucca Crea, la società che organizza Lucca Comics & Games. Negli ultimi tre anni ho studiato a fondo le opere di Amano, selezionando le oltre 130 tavole e decine di oggetti esposti a Milano, ideando il percorso esperienziale per il visitatore, redigendo i testi del catalogo e degli apparati informativi e collaborando con i professionisti e le aziende che hanno reso possibile questo progetto. 
Quali sfide ha affrontato nel curare una retrospettiva così ampia sulla carriera di Yoshitaka Amano, che spazia tra anime, videogiochi, teatro e fine art?
 Studiare Yoshitaka Amano è un’impresa complessa. È un artista che si muove con fluidità tra linguaggi, tecniche, materiali e stili artistici estremamente variegati. A soli 15 anni inizia a lavorare come animatore alla Tatsunoko Production, diventando in breve tempo responsabile della creazione di personaggi iconici di cartoni animati come Ape Magà, Pinocchio, Hurricane Polimar, Yattaman e Mago Pancione. Dall’animazione passa all’illustrazione, creando gli immaginari visivi di opere come Vampire Hunter D, The Sandman di Neil Gaiman e molti libri di Michael Moorcock. In quegli anni vince premi internazionali e avvia collaborazioni prestigiose, come dimostrano le copertine realizzate per eroi leggendari come Batman, Superman, Elektra & Wolverine e l’unica copertina non fotografica di Vogue, a lui affidata. I videogiochi, come Final Fantasy, lo consacrano come icona globale delle nuove arti. Eppure, nonostante i riconoscimenti e il successo commerciale, Amano è rimasto un artista poco studiato dal punto di vista curatoriale. Per colmare questa lacuna, ho viaggiato spesso a Tokyo per studiare e catalogare le sue opere, confrontarmi con lui e il suo management, con l’obiettivo di allestire una mostra che restituisse la sua straordinaria capacità di creare mitologie contemporanee. 
La campagna Kickstarter per la mostra ha raggiunto il suo obiettivo in meno di tre ore. Come interpreta questa risposta entusiastica da parte della community?
 Questo risultato straordinario è frutto di un eccellente lavoro di squadra coordinato da Emanuele Vietina, direttore di Lucca Crea. Un progetto così sperimentale necessitava di un forte coinvolgimento della community di appassionati, e questo ci ha spinto a intraprendere una strada atipica per una mostra d’arte. Così, la scorsa estate, è nata l’idea di una campagna sulla piattaforma di crowdfunding Kickstarter, che in poche ore ha raggiunto l’obiettivo primario, arrivando a raccogliere in circa un mese 180.000 euro da finanziatori di tutto il mondo. In cambio del loro contributo, gli appassionati hanno ottenuto esperienze esclusive, come la possibilità di vedere il proprio nome sulla parete iniziale della mostra, incontrare Amano per un aperitivo, o accedere a versioni limitate e autografate del catalogo e di alcuni disegni. 
Può parlarci dell’importanza di esporre per la prima volta in Europa i disegni di Final Fantasy e quale impatto pensa avrà sul pubblico occidentale?
 Con oltre 16 capitoli ufficiali, film d’animazione e merchandising, la saga di Final Fantasy è un fenomeno globale. Quasi duecento milioni di persone nel mondo hanno acquistato questo gioco di ruolo prodotto da Square Enix, di cui Yoshitaka Amano è il “padre” artistico. A Milano, per la prima volta, sarà possibile ammirare quasi cinquanta tavole che ripercorrono la storia di questo franchise dal primo capitolo del 1987 ad oggi, inclusi i loghi creati dal maestro, i disegni di personaggi come Sephiroth, Cloud e Terra Branford, e tavole dedicate alle ambientazioni e alle mappe di gioco. Il percorso espositivo metterà a confronto i disegni originali di Amano con i packaging dei giochi, creando un interessante parallelismo tra l’idea iniziale e la sua realizzazione commerciale. Quei disegni, che hanno ispirato migliaia di giovani a intraprendere la carriera di illustratori, rappresentano le radici dell’arte nei videogiochi. 
Come vede l’evoluzione del rapporto tra arte tradizionale e nuovi media, come videogiochi e fumetti, nella cultura contemporanea?
 Se i fumetti sono ormai considerati la nona arte, i videogiochi incarnano la decima. Su una tela digitale, nuove figure artistiche e creative danno forma a visioni e idee in un linguaggio che potremmo definire “immagine interattiva”, che si differenzia dalle forme tradizionali per la possibilità offerta al pubblico di agire e interagire all’interno dell’opera. Osservando il medium videoludico, ci si accorge che è una summa di arti precedenti: in opere come The Last of Us o Final Fantasy convivono letteratura, architettura, scultura, pittura, musica e cinema, rendendo il videogioco una sorta di meta-arte. I punti di contatto con i grandi maestri del passato sono numerosi: ICO si rifà a De Chirico, Rez richiama le composizioni di Kandinsky. Da oltre un decennio, grandi musei d’arte internazionali come il MoMA di New York hanno inserito nelle loro collezioni permanenti alcuni videogiochi, istituzionalizzando questa forma espressiva nata commercialmente solo nel 1972. 
In qualità di curatore della nuova area permanente Video Game Zone al Museo Nazionale del Cinema di Torino, quali obiettivi si è posto per integrare il mondo dei videogiochi in un contesto cinematografico?
 L’apertura di una collezione permanente di videogiochi in un grande museo italiano è un momento storico. Grazie alla lungimiranza dell’allora direttore Domenico De Gaetano, lo scorso luglio ha aperto i battenti la Video Game Zone, uno spazio fisso al Museo Nazionale del Cinema di Torino dove è possibile ammirare materiali inediti legati al ciclo creativo e produttivo di videogiochi che hanno fatto la storia di questo medium. Attraverso un dialogo diretto con produttori e sviluppatori, il museo ha acquisito le sceneggiature originali di giochi come Heavy Rain e Detroit Become Human, carteggi e sceneggiature di Broken Sword e Final Fantasy, le tavole iniziali di Prince of Persia e persino una lavagna con i post-it di level design scritti a mano da Christian Cantamessa per Red Dead Redemption. Questo materiale non è solo esposto, ma anche studiato e catalogato, con l’obiettivo di preservare l’enorme patrimonio artistico alla base dei videogiochi, che spesso rischia di andare perduto. Tutta questa ricerca confluirà in futuro nella prima grande mostra dedicata al rapporto tra cinema e videogiochi. 
Avete inaugurato la Video Game Zone con una Masterclass condotta da David Cage, fondatore di Quantic Dream e figura di spicco nel panorama videoludico internazionale, nella quale sono state esplorate le convergenze tra cinema e videogiochi. Quali sono, secondo lei, le principali sinergie tra queste due forme d’arte e come possono influenzarsi reciprocamente?
 L’ultima produzione di David Cage con Quantic Dream incarna perfettamente il genere di gioco cinematografico. Detroit Become Human è un’esperienza interattiva basata su un copione di oltre 2000 pagine, con 250 attori reali, 35000 riprese cinematografiche, 74000 animazioni e oltre 5 milioni di righe di codice. Questi numeri dimostrano le ampie convergenze tra linguaggio cinematografico e videoludico, la cui storia di amore e odio inizia negli anni ’70 con le licenze hollywoodiane trasformate in videogiochi e l’acquisizione di aziende come Atari da parte di colossi come Warner Bros. Nel corso degli anni, sempre più game designer hanno attinto al linguaggio cinematografico per conferire spessore narrativo e visivo alle loro produzioni, come dimostrano giochi come Dragon’s Lair, che ricalca il mondo dell’animazione Disney, e le produzioni di LucasArts. Con l’avanzare della popolarità dei videogiochi, il trend si è invertito: oggi sono numerose le serie TV di successo tratte da videogiochi, come Arcane, Fallout e The Last of Us. In futuro, probabilmente, assisteremo a una sublimazione dei due linguaggi con storie sempre più interattive. 
Da esperto di gamification, come ritiene che i principi del gioco possano essere applicati ai musei per rendere l’esperienza dei visitatori più coinvolgente?
 I videogiochi sono ormai una forma d’arte a tutti gli effetti, ma da anni si sono affermati anche come strumenti per raggiungere e coinvolgere nuovi pubblici culturali. Nel 2018 ho fondato TuoMuseo.it per aiutare musei, biblioteche, teatri e destinazioni turistiche a integrare il gioco nelle proprie strategie. Ho avuto la fortuna di lavorare a progetti innovativi come Father and Son, un videogioco prodotto dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli che ha superato i 5 milioni di download e ha spinto quasi 100.000 persone a visitare il museo. Oggi il visitatore culturale cerca protagonismo, coinvolgimento ed esperienze interattive e personalizzate. Vuole essere spett-attore, partecipe e non più passivo. Penso a progetti come PlayAlghero, che ha trasformato la città sarda in un “playground” con oltre 10 esperienze ludiche che guidano cittadini e turisti alla scoperta dei siti culturali. La mia prossima sfida sarà a Dossena, in provincia di Bergamo, dove un mix di innovazione ludica, tecnologica e infrastrutturale mira a rivitalizzare un borgo a rischio spopolamento, trasformandolo in un hub creativo e di nuova socialità. —tecnologiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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