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Vertice Ue, i 27 riarmano l’Europa. Intesa senza Orban su Ucraina

(Adnkronos) –
Accordo sulla difesa europea, non sull’Ucraina, per volere dell’Ungheria che, nelle parole del presidente Antonio Costa, si è “isolata” dagli altri ventisei Paesi. Il Consiglio Europeo, riunito in via straordinaria a Bruxelles, è riuscito ad approvare le conclusioni a 27 in materia di difesa comune, in cui i leader affermano all’unisono, tra l’altro, che l’Ue deve diventare “più sovrana”, “più responsabile per la propria difesa” e “meglio equipaggiata per agire e per affrontare in modo autonomo le sfide e le minacce future e immediate”. Non sono però riusciti ad approvare a 27 le conclusioni sull’Ucraina, a causa della ferma opposizione dell’Ungheria di Viktor Orban, che questa volta non ha fatto marcia indietro all’ultimo in cambio di qualcosa, come è successo più volte in passato, ma ha mantenuto la propria contrarietà. Piuttosto che approvare un testo ammorbidito per venire incontro a Budapest, i leader hanno optato per un testo a 26: da un punto di vista tecnico-giuridico, non si tratta di conclusioni del Consiglio Europeo, ma di un testo allegato alle conclusioni stesse, che è “fortemente sostenuto da 26 Stati membri” su 27. Il primo ministro Orban, che è anche il leader con la maggiore anzianità di servizio nel Consiglio Europeo, non ha appoggiato il testo. Per il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa, l’Ungheria “si è isolata” dagli altri Stati europei, ma “un Paese isolato”, ha notato, non significa “una Ue divisa”, dato che i 26 Paesi sono “uniti” nel sostegno a Kiev. Orban gli ha risposto per le rime, dicendo che è l’Ue che è ormai “isolata” rispetto a “Usa, Cina e Russia”, mentre Budapest ha “ottimi rapporti” con tutti e tre, a differenza di Bruxelles. Il premier magiaro ha anche detto che consulterà la popolazione ungherese in merito all’Ucraina, utilizzando il “meccanismo di consultazione” previsto dall’ordinamento. Lo slovacco Robert Fico, anch’egli inizialmente contrario al testo sull’Ucraina, lo ha poi appoggiato, in cambio di un passaggio sul transito di gas attraverso l’Ucraina (Bratislava, che non ha sbocchi al mare, resta dipendente dal metano via tubo). Il primo vertice a 27 da quando Donald Trump ha riaperto i canali diplomatici con il Cremlino, dunque, ufficializza la divaricazione delle posizioni sull’Ucraina tra la grande maggioranza degli Stati membri e l’Ungheria di Orban, che confina con il Paese invaso e ha una visione diversa dagli altri sulla Russia di Vladimir Putin.  Il leader magiaro si è però unito ai colleghi europei nell’approvare le conclusioni in materia di difesa, in cui i leader appoggiano i pilastri del piano ReArmEu da 800 miliardi di euro (stimati), che dovrebbe aiutare l’Ue a recuperare i decenni perduti e riarmarsi di fronte alla rinascita dell’imperialismo russo e alle pressioni americane, che con il ritorno di Trump si sono fatte più forti che mai. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tuttavia criticato, come aveva già fatto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il nome scelto dalla Commissione per il piano, dato che, ha osservato, i concetti di “sicurezza” e “difesa” coprono molti più ambiti del mero riarmo, come materie prime, infrastrutture critiche e cyberattacchi.  In particolare, nelle conclusioni a 27 i leader appoggiano l’uso della clausola nazionale di salvaguardia, che secondo le stime della Commissione dovrebbe consentire agli Stati membri spese extra nella difesa per 650 miliardi di euro senza incorrere nella procedura per deficit eccessivo, cui alcuni Paesi, come Italia e Francia, sono già sottoposti. Le aperture della Germania a una possibile revisione del patto di stabilità (che proprio Berlino, poco più di un anno fa, aveva voluto più rigido, nella sua versione riformata, rispetto alla proposta della Commissione) vengono accolte con favore dalla premier, che saluta l’apertura di un “dibattito” sulla materia.  La revisione, secondo Meloni, dovrebbe riguardare non solo la difesa, ma in senso più largo la competitività dell’Ue. Dal 2008 l’area euro, con il patto di stabilità, ha perso molto terreno, in termini di pil pro capite, rispetto agli Usa: se all’epoca l’Eurozona e gli States erano grossomodo allineati, oggi il dato negli Usa è quasi doppio rispetto a quello dell’area euro, che si è notevolmente impoverita in confronto al ‘cugino’ americano. E dal 2010 al 2021 la crescita media annua del pil pro capite è stata di 3,4% negli Usa, contro l’1,6% dell’Ue.  Meloni ha anche sottolineato che, se l’Italia fosse stata più ascoltata alla fine del 2023, oggi forse la situazione sarebbe diversa. L’Ue si trova con regole di bilancio da poco riformate, che devono di nuovo essere sospese, questa volta non in toto come accadde nel 2020 attivando la clausola generale di salvaguardia, ma in parte, usando quella nazionale (da poco istituita, ha però delle limitazioni). In ogni caso, a quanto si apprende allo stato la Commissione rimane concentrata su soluzioni che possano essere efficaci ed applicabili a breve termine: riaprire il patto di stabilità ora vorrebbe dire imbarcarsi in una discussione lunga, divisiva e difficile. Per adesso non c’è l’intenzione di procedere in questo senso: viene considerato più produttivo concentrarsi su quello che si può fare a legislazione vigente.  Viene anche appoggiata dai leader l’altra ‘gamba’ principale del piano, lo strumento da 150 mld di euro di prestiti, da finanziare emettendo obbligazioni garantite dall’headroom (la differenza tra impegni e pagamenti) del bilancio Ue, una soluzione già sperimentata che va bene anche ai Paesi rigoristi, perché limitata, circoscritta e garantita dal bilancio comune. La base giuridica è l’articolo 122 del Tfue, che esclude il Parlamento Europeo, come era già accaduto per Next Generation Eu. Nelle conclusioni, tra l’altro, si invita la Banca europea per gli investimenti a rivedere i criteri con cui concede credito, per consentire una maggiore apertura alla difesa (in particolare, dovrebbe abbandonare i criteri Esg, che ostacolano il finanziamento delle industrie del settore). Quanto all’uso dei fondi Ue già disponibili, come quelli di coesione, per la difesa, i leader invitano la Commissione a presentare proposte in merito. Meloni ha chiarito che l’Italia non intende usarli a questo fine, anche se nelle conclusioni viene previsto l’uso volontario da parte degli Stati, se lo ritengono opportuno, perché si rende conto che per alcuni Paesi, come i Baltici, la difesa costituisce una priorità assoluta e urgente, visto il nuovo contesto geopolitico determinato dalla nuova linea Usa sulla guerra in Ucraina. Von der Leyen ha spiegato che le proposte di legge “dettagliate” relative ai vari pilastri del piano verranno presentate entro il prossimo Consiglio Europeo, in agenda per il 20 e 21 marzo. Prima del prossimo Consiglio, “il 19 marzo”, verrà presentato anche il Libro Bianco sulla difesa, un quadro strategico per delineare le possibili azioni Ue in quell’ambito; in cantiere anche un “provvedimento Omnibus” sulla difesa, per eliminare i tanti ostacoli normativi e burocratici che intralciano lo sviluppo dell’industria del settore.  I leader sottolineano ancora una volta l’importanza di una “aggregazione della domanda più sistematica” in campo militare: in altre parole, ci si impegna a porre rimedio alla frammentazione della spesa per la difesa per linee nazionali, che risulta essere un enorme ostacolo in termini di efficacia, anche considerando che i Ventisette spendono collettivamente più della Russia in difesa ma dispongono di una frazione delle capacità.  Si sottolinea anche che un’Ue più “forte” è “complementare”, e quindi non alternativa, alla Nato. A questo proposito, i Paesi Ue membri dell’Alleanza dovrebbero “coordinarsi” in vista del summit dell’Aja del prossimo giugno (che si preannuncia complicato). Si rimarca l’importanza di difendere i confini dell’Ue, con particolare menzione per quello orientale (ma vengono citati anche gli altri, per espressa richiesta dei mediterranei).  Per quanto riguarda l’Ucraina, invece, i leader non hanno approvato conclusioni, ma un testo allegato che parla del rafforzamento del supporto a Kiev. Testo che, si specifica, è stato “fortemente sostenuto da 26 capi di Stato e di governo”, tutti tranne Orban. Lo slovacco Robert Fico ha ottenuto il punto 12, in cui “il Consiglio Europeo chiede alla Commissione, alla Slovacchia e all’Ucraina di intensificare gli sforzi per trovare soluzioni praticabili al problema del transito del gas, tenendo in considerazione le preoccupazioni” espresse da Bratislava.  Nel testo i 26 concordano una serie di principi di base, in vista del negoziato che potrebbe mettere fine alla guerra che dura da oltre tre anni. Primo, “non ci possono essere negoziati sull’Ucraina” senza Kiev. Secondo, “non ci possono essere negoziati” che riguardino la sicurezza europea “senza il coinvolgimento dell’Europa”, dato che la sicurezza europea e quella ucraina sono “interconnesse”. Terzo, “qualsiasi tregua o cessate il fuoco può avere luogo solo nell’ambito di un processo che porti a un accordo complessivo di pace”. Quarto, qualsiasi accordo simile “deve essere accompagnato da garanzie di sicurezza robuste e credibili per l’Ucraina, che contribuiscano a scoraggiare una futura aggressione russa”. Quinto, “la pace deve rispettare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale” del Paese.  Si sottolinea, in particolare, il concetto di “pace attraverso la forza”: in pratica, l’Ucraina deve essere sostenuta affinché possa migliorare la situazione sul campo di battaglia e perché possa difendersi. La capacità di autodifesa di Kiev viene considerata la migliore tutela: è la teoria del “porcospino d’acciaio”, che l’Orso russo troverebbe troppo indigesto. “La migliore garanzia di sicurezza per l’Ucraina sono gli stessi ucraini”, dice Costa.  In ogni caso, l’Ue resta impegnata a sostenere Kiev, per rafforzarla, con 30,6 miliardi di euro di aiuti nel 2025. Nell’Ue, ha sottolineato infine il presidente del Consiglio Europeo, “ventisei Paesi credono che il percorso verso la pace in Ucraina passi per il potenziamento delle capacità di difesa” del Paese. L’Ungheria ha un approccio strategico diverso” dagli altri. “Rispettiamo la posizione dell’Ungheria, ma 26 Paesi -ha concluso – sono più di uno”.   —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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