Oggi a Bruxelles si mobilitano decine di migliaia di agricoltori, che seguono le proteste già avvenute in città come Liegi e Strasburgo, in segno di opposizione all’accordo commerciale Ue-Mercosur e alla Pac, la politica agricola comune del blocco dei 27 Stati membri. Il timore principale del settore agricolo europeo deriva dalla prospettiva che l’accordo faciliti l’ingresso nel mercato comunitario di prodotti sudamericani sensibili, come carne bovina, zucchero, riso, miele e soia, mettendo in allarme le filiere europee.
Gli agricoltori e i Paesi che li supportano temono una concorrenza sleale e la destabilizzazione del mercato. Per rassicurare il settore, l’Unione europea ha proposto misure di salvaguardia, come il monitoraggio dei prodotti sensibili e interventi in caso di necessità, ma queste non sono ritenute sufficienti da alcuni Paesi, tra cui Italia e Francia. Ciò che chiedono gli agricoltori, attraverso i loro governi, sono misure di salvaguardia più solide, un fondo di compensazione adeguato e un rafforzamento significativo dei controlli fitosanitari in entrata.
“Gli agricoltori italiani sono qui in piazza oggi a manifestare tutto il proprio dissenso per dire no alla proposta della Commissione europea, no a un’Europa che vuole svendere la propria agricoltura, no a un’Europa che mette le armi davanti al cibo, no a un’Europa che non vuole garantire la sicurezza alimentare ai propri cittadini”, queste le parole di Cristiano Fini, presidente della Confederazione italiana agricoltori, a margine della manifestazione degli agricoltori in corso a Bruxelles, anche contro la Proposta di bilancio Ue 2028-2034, che prevede modifiche alla Pac, la politica agricola comune. “Pensate che in Italia si rischia la chiusura di oltre 270.000 aziende agricole, quindi noi vogliamo una proposta che sia politica, forte e unitaria per un’Europa più unita e più coesa. Lo facciamo per i nostri agricoltori, lo facciamo per i cittadini europei”, ha concluso Fini.
Cos’è il Mercosur e perché non convince l’accordo?
Il Mercosur è un blocco commerciale sudamericano istituito nel 1991, i cui membri attuali sono Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia. Rappresenta la sesta economia più grande al di fuori dell’Ue, con un Pil annuo di 2.700 miliardi di euro e una popolazione totale di 270 milioni di persone. L’Accordo di partenariato Ue-Mercosur, i cui negoziati sono stati conclusi nel giugno 2019 e ulteriormente rafforzati con nuovi impegni sulla sostenibilità nel dicembre 2024, mira a liberalizzare gli scambi tra i due blocchi, creando una delle più grandi aree di libero scambio a livello globale.
L’accordo è visto come fondamentale dall’Ue poiché rafforza la competitività diversificando le catene di approvvigionamento, stimola gli scambi e gli investimenti, e prevede impegni senza precedenti nella lotta ai cambiamenti climatici e alla deforestazione. Per le imprese dell’Ue, l’accordo comporterebbe l’eliminazione di dazi elevati (come il 35% sui ricambi auto o il 28% sui latticini).
Tuttavia, l’accordo non piace soprattutto al comparto agroalimentare europeo perché, pur prevedendo che prodotti sensibili come carni bovine, pollame o zucchero avranno un accesso “molto limitato” al mercato Ue, la prospettiva di una maggiore importazione di questi prodotti solleva allarmi sulle filiere europee. Sebbene l’accordo ribadisca che i prodotti in entrata debbano essere conformi alle rigorose norme europee in materia di sicurezza alimentare e mantenga il “principio di precauzione”, Paesi come l’Italia e la Francia ritengono che le garanzie per gli agricoltori siano insufficienti.
Italia e Francia freneranno l’accordo?
La firma definitiva all’accordo Ue-Mercosur appare sempre più in bilico a causa delle forti riserve espresse da alcuni Stati membri chiave. Per ottenere l’approvazione dell’intesa, è necessario il via libera di una maggioranza qualificata degli Stati membri, ovvero almeno 15 Paesi su 27 che rappresentino il 65% della popolazione Ue.
La Francia è in prima linea nell’opposizione e chiede tutele maggiori per i propri agricoltori e una clausola di piena reciprocità. Il presidente Emmanuel Macron ha avvertito che la Francia si opporrebbe “in modo molto fermo” se ci fosse l’intenzione di procedere con un “passaggio di forza” da parte delle istituzioni europee.
L’Italia, pur guardando con interesse all’intesa per il suo significato politico e commerciale (inclusa la tutela di oltre 50 denominazioni di origine geografica italiane), ha assunto una posizione che affianca quella francese. La presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha dichiarato che firmare l’accordo in tempi brevi è “ancora prematuro” e ha sottolineato la necessità di “rispondere alle preoccupazioni dei nostri agricoltori”.
L’Italia non intende bloccare l’accordo nel suo complesso, ma intende approvarlo solo quando saranno incluse adeguate garanzie di reciprocità per il settore agricolo. Le misure richieste dall’Italia includono l’introduzione di un meccanismo di salvaguardia, un fondo di compensazione adeguato e un significativo rafforzamento dei controlli fitosanitari in entrata, misure che non sono ancora del tutto finalizzate. La premier Meloni ha chiarito che non firmerà finché queste garanzie non saranno “portate a casa”, anche se ciò richiederà altre settimane.
Attualmente, Francia, Ungheria, Polonia e Austria si oppongono fermamente all’accordo. Senza il sostegno dell’Italia, che ha trovato una sponda nella posizione francese, raggiungere la maggioranza qualificata necessaria diventa complesso, se non impossibile. L’Italia, insieme a Francia, Polonia e Ungheria, può contribuire a formare una minoranza di blocco in grado di fermare l’esame dell’intesa.
La posizione italiana e francese ha reso l’accordo sempre più in bilico, con la possibilità che la cerimonia di firma slitti. La Commissione europea, tuttavia, continua a sperare in un accordo, mentre dal Brasile il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha invitato i leader di Italia e Francia ad assumersi le loro responsabilità per non bloccare l’intesa. L’Italia è fiduciosa che le condizioni necessarie per la firma, con le adeguate garanzie, potranno realizzarsi all’inizio del prossimo anno.
I “limiti” della Politica agricola comune (Pac)
Ma non solo l’accordo Ue-Mercosur. A destare perplessità sono anche le scelte prese dall’esecutivo europeo nell’ambito delle Politiche agricoli comunitarie. La questione riguarda il dissenso delle organizzazioni agricole, motivato principalmente dall’annunciato taglio del 16% del budget destinato alla Pac e dalla previsione della confluenza dei fondi in un Fondo unico aggregato alle politiche di coesione.
Secondo le associazioni di categoria i rappresentanti degli agricoltori ignorano i fallimenti strutturali della Pac, che è risultata inefficace e iniqua, non avendo raggiunto gli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale. In particolare, il 60% delle risorse finanziarie negli ultimi anni è stato assegnato al 20% delle aziende agricole più grandi, sulla base del criterio della superficie utilizzata, favorendo una logica di rendita fondiaria.
Per attenuare il malcontento dovuto al taglio di risorse, le istituzioni europee, come la Commissione, il Consiglio e il Parlamento, stanno progressivamente “demolendo le norme a tutela dell’ambiente attraverso provvedimenti Omnibus e pacchetti di semplificazione che riducono le garanzie per la tutela della salute e dell’ambiente” e indeboliscono la condizionalità ambientale. Le associazioni denunciano che, per salvare la Pac, non è sufficiente garantire le attuali risorse, ma è indispensabile una riforma radicale che “superi la logica della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite”.
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