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martedì 8 Luglio 2025
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Rivolte in carcere e casi di violenza sessuale: si aggrava lo scenario dalle indagini alla Dogaia di Prato

Continuano le comunicazioni verso l'esterno della struttura penitenziaria: un detenuto ha pubblicato le foto della sua cella su Tik Tok

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PRATO – Emerge un quadro sempre più degradato dalle indagini in corso della procura di Prato al carcere della Dogaia.

Non solo uso frequente, e reiterato dopo le prime perquisizioni, di canali di comunicazione verso l’esterno, ma anche rivolte in carcere e diversi casi di violenza sessuale. Un quadro agghiacciante su cui ha sollevato il velo il procuratore capo Luca Tescaroli, anche con particolari davvero terribili.

Nel progressivo e articolato percorso volto a recuperare e ripristinare la legalità in seno al carcere di Prato – volto a sottrarre ai detenuti il controllo del carcere, molti dei quali hanno dimostrato la capacità di gestire l’afflusso e di occultare strumenti di comunicazione (complessivamente sono stati già rinvenuti 41 apparecchi telefonici, tre sim card e un router, dal luglio 2024 al 28 giugno 2025) fuori dal controllo di chi è chiamato a impedirlo e a reprimere, o con la complicità di chi tale ruolo rivestenell’ottava sezione, che ospita la media sicurezza, all’interno della cella 187 – è stato rinvenuto e sottoposto a sequestro un ulteriore telefono cellulare custodito, privo di sim card, nella giornata di sabato (5 luglio).

La prosecuzione dello sforzo investigativo ha consentito di verificare, altresì, l’utilizzo di un grappolo di ulteriori telefoni non rinvenuti nel corso delle perquisizioni e delle ispezioni del 28 giugno decorso: uno è risultato impiegato il 2 luglio, un altro l’1 luglio 2025, altri ancora li 27, li 28 e il 29 giugno mediante l’utilizzo di almeno tre diversi router. Si tratta di un segno evidente della capacità dei detenuti e dei loro garanti di controllare gli spazi con il ricorso a soluzioni sempre diverse, che sfruttano anche la libertà di movimento e le agevolazioni di cui beneficiano i permessanti e la compiacenza di appartenenti alla polizia penitenziaria.

Un altro detenuto, ristretto sempre in alta sicurezza, è riuscito persino a postare sul social network Tik Tok foto della propria cella. Si è, pertanto, reso necessario emettere, nell’ambito del procedimento penale instaurato, nuovi decreti di perquisizione, ispezione e sequestro in seno all’alta sicurezza e alla media sicurezza del carcere La Dogaia per ricercare gli apparecchi rimasti nella disponibilità dei detenuti, che sono in fase di esecuzione con
l’ausilio degli appartenenti alla squadra mobile di Prato, al nucleo investigativo della polizia penitenziaria (Nir), all’arma dei carabinieri e alla Guardia di Finanza di Prato.

La gravità della situazione in seno alla struttura è stata acuita da due rivolte poste in essere dai detenuti, nell’arco di un mese, che hanno indotto a contestare il nuovo delitto di rivolta, di cui all’articolo 415 bis del codice penale. La prima, avvenuta il 4 giugno, promossa da parte di cinque detenuti, di nazionalità italiana, marocchina e libica, ristretti all’interno della quinta sezione del reparto media sicurezza, consistita nel compimento di atti di violenza, di minaccia e di lesioni ai danni di sei appartenenti alla polizia penitenziaria. Gli autori hanno minacciato di morte il personale di polizia penitenziaria intervenuto, brandendo oggetti (una spranga ricavata dal profilo metallico della finestra di sezione, che veniva divelta, armi
rudimentali ricavate da suppellettili, una bomboletta a gas, una grappa artigianale bollente, un cacciavite, un paio di forbici e uno sgabello) e manifestando l’intenzione di non voler rientrare nelle rispettive camere di pernottamento, con frasi del tipo Stasera non rientriamo perché vogliamo fare la guerra, Chiama la squadretta e quel coglione del comandante, oggi si fa la guerra, Si muore solo una volta o noi o voi. Successivamente si sono rifiutati di eseguire l’ordine, proveniente dall’agente addetto alla vigilanza e osservazione e dai preposti, di fare rientro in cella.

La seconda, nel corso della giornata di sabato 5 luglio a seguito dell’operazione condotta il 28 giugno scorso, avvenuta all’interno della prima sezione del reparto media sicurezza, consistita nel barricarsi, da parte di un gruppo di almeno dieci detenuti che occupavano la sezione, rovesciando il carrello del vitto contro il cancello di sbarramento per impedire l’accesso degli agenti di vigilanza, nel tentare di incendiare materiale, nell’operare per sfondare il cancello di sbarramento, utilizzando una branda e una spranga ricavata dalla spalliera della stessa branda, nell’utilizzare cacciaviti, fornellini muniti di bomboletta, pedaliere prelevate da carrozzine, una pentola del diametro di 23 centimetri e altro materiale. Rivolta che veniva sedata grazie all’intervento degli agenti penitenziari antisommossa.

La procura ha avviato un procedimento per i delitti di rivolta, di resistenza a pubblico ufficiale, di lesioni, di danneggiamento ed è al vaglio la condotta di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria. Condotte che hanno indotto a sensibilizzare il prefetto e il questore di Prato al fine di valutare l’adozione delle necessarie iniziative a tutela dell’ordine pubblico esterno al carcere in occasione delle attività di ricerca della prova oggi in corso.

All’interno della struttura carceraria pratese, si registrano, inoltre, svariate condotte a base violenta da parte di detenuti nei confronti di altri, che i sistemi di controllo non riescono ad arginare. Si sono verificati, al contempo, negli ultimi anni, gravi episodi di tortura e di violenza sessuale che rendono insicura, degradante e non dignitosa la vita da parte dei detenuti, già privati del bene supremo della libertà.  In proposito, sono stati segnalati la violenza sessuale posta in essere nel settembre 2023, in più riprese, da un detenuto di nazionalità brasiliana di 32 anni, consistita nell’aver sodomizzato e indotto a compiere una fellatio – con il ricorso alla grave minaccia di tagliargli la gola con un rasoio e alla violenza fisica, consistita nell’afferrarlo per il collo – il compagno di cella di 33 anni di nazionalità pakistana. È in questo caso in fase di notifica l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Il secondo episodio consiste nell’aver due detenuti, rispettivamente di 36 anni e
di 47 anni, torturato un detenuto omosessuale, tossicodipendente alla prima esperienza carceraria, cagionandogli acute sofferenze fisiche e un trauma psichico, sottoponendolo a violenza sessuale di gruppo e cagionandogli gravi lesioni, nell’arco temporale compreso tra il 12 e il 14 gennaio 2020, all’interno della camera detentiva numero 1 della quinta sezione, dove erano ristretti. Sono risultati, infatti – alla stregua delle risultanze investigative, dopo alcuni giorni di percosse (schiaffi, pugni su braccia e spalle e ginocchiate all’addome e alla schiena) e offese verbali – comportamenti degli imputati tesi a costringerlo a praticare loro un rapporto orale, colpendolo due volte con una mensola di legno alla testa, con pugni e ginocchiate alle costole, minacciandolo di morte. Successivamente, sincerandosi che gli appartenenti alla polizia penitenziaria non si avvicinassero, in orario pomeridiano, lo costringevano ad abbassarsi i pantaloni e a subire penetrazioni anali reiterate a turno. E nei giorni seguenti continuavano ad offenderlo, colpendolo con alcune mazze di legno sulle braccia e sulle gambe e attingendolo più volte sulla testa con una pentola rovente. Indi, lo costringevano, ancora una volta, a subire sodomizzazioni e a praticare fellatio. Le condotte violente hanno provocato gravi lesioni alla vittima, fra le quali, la frattura composta della sesta costola destra, lividi ed ematomi su più parti del corpo, lacerazione del canale anale e seri problemi psicologici con sintomatologia perdurata per quattro mesi dai fatti.

Nei confronti degli indagati è stato disposto il rinvio a giudizio, dopo l’effettuazione di incidente probatorio, ed è in fase di celebrazione avanzata il dibattimento.

© Riproduzione riservata

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