(Adnkronos) – Da termine quasi dispregiativo a medaglia da appuntare con orgoglio sul petto. La televisione “nazionalpopolare” trova la sua più fiera difesa nelle parole dei suoi protagonisti, Mara Venier, Carlo Conti, Marco Liorni ed Ezio Greggio, ospiti ad Atreju per il panel “La televisione e la cultura nazionalpopolare in Italia”. Un’occasione per rivendicare un ruolo che, secondo loro, significa soprattutto “essere nel cuore della gente”, unire le generazioni e offrire conforto, specialmente nei momenti più difficili. A lanciare il tema è Mara Venier, che ricorda un aneddoto del passato per segnare la distanza con il presente. “Qualche anno fa, Pippo Baudo si offese moltissimo perché l’allora presidente Rai aveva classificato i suoi programmi come ‘nazional-popolari’. La prese come un’offesa, ci fu una polemica che durò mesi”, racconta la signora della domenica. “Ecco, io oggi, quando mi dicono che Mara Venier è ‘nazionale popolare’, sono orgogliosa di rappresentarlo”.
Un sentimento condiviso da Carlo Conti e Marco Liorni e a cui fa eco Ezio Greggio, intervenuto in collegamento: “Essere nazionali e popolari significa essere nel cuore della gente, significa fare trasmissioni che la gente ama e far trascorrere, in tempi complicati come questi, qualche momento di serenità. E ne abbiamo assolutamente bisogno”. La stessa Venier rafforza il concetto, ricordando l’impegno durante la pandemia: “Quando l’Italia era bloccata, noi siamo andati in onda. Andare in onda e cercare di rassicurare gli italiani in un momento terribile. Se questo è essere ‘nazionale popolare’, allora ben venga”.
Ma cosa significa, oggi, fare televisione per il grande pubblico? Per Marco Liorni, la chiave è la permeabilità. “Penso che tutta la televisione, e anche l’intrattenimento, debba ‘respirare’ il Paese che c’è fuori”, afferma il conduttore de L’Eredità. “Se le togli il terreno di confronto, la televisione perde quel ruolo sociale così importante che deve avere. Questo vale anche per i quiz: bisogna mettere in dialogo le generazioni, non solo conservando la memoria del passato, ma anche lavorando sull’intuizione e sulle energie nuove”. Il legame con il pubblico è il filo rosso che unisce tutti gli interventi. “Siamo qua solo grazie al pubblico che ci segue. Il giorno che non ci segue più, è finita anche per noi”, sottolinea Venier. Un concetto ribadito da Carlo Conti, che definisce la sua carriera un atto di “fortuna” reso possibile dalla passione e dalla gavetta. “Ho iniziato in una radio privata fiorentina dove non pagavano”, ricorda. “Ma come diceva Mara, lo devo esclusivamente al pubblico. Fino a che il pubblico vorrà, io ci sarò”.
Un percorso fatto di “gavetta”, oggi spesso saltata, che ha formato una generazione di professionisti. “Ho imparato tantissimo stando vicino ai grandi, rubando con l’occhio ogni dettaglio”, ammette Liorni, citando la sua esperienza al fianco di Mara Venier a La Vita in Diretta. Tra le sfide del presente, i conduttori citano l’eccessiva sensibilità che rischia di limitare la creatività. “Credo che in generale abbiamo perso il senso della leggerezza, ci prendiamo troppo sul serio”, osserva Conti. “Se penso a film come Amici Miei, oggi durerebbero dieci minuti”. Il conduttore porta un esempio concreto dal suo programma Tale e Quale Show: “Per stare dietro a certe direttive, a Tale e Quale Show non posso più far interpretare cantanti di colore a concorrenti bianchi, perché altrimenti si viene accusati di ‘blackface’. Allora mi diverto a prendere un cantante di colore forte nel cast, così posso fargli imitare altri artisti di colore. E poi, un bel giorno, a un concorrente di colore farò imitare un cantante bianco, nella speranza che nessuno si offenda per il ‘whiteface'”.
Sulla stessa linea Ezio Greggio, che difende il diritto alla satira “scorretta” come forma di libertà, ricordando le battaglie degli anni ’70 per aprire la strada alle TV private. Una televisione che, nonostante la concorrenza delle piattaforme, non teme di perdere il suo primato, a patto di offrire contenuti di qualità: “I ragazzi hanno un senso critico notevole”, conclude Greggio, “bisogna solo offrirgli programmi che li possano interessare”. Infine, il ricordo per il collega e amico Fabrizio Frizzi: “Il momento più difficile della carriera che non avrei mai voluto vivere è stato quando, dopo la morte di Fabrizio Frizzi, sono tornato nello studio de L’Eredità e ho dovuto riprenderne in mano la conduzione. Una cosa che non avrei mai voluto fare”, racconta Conti visibilmente emozionato. E aggiunge: “Dico sempre che nella nostra carriera non importa quanti programmi o quanti successi hai fatto, ma conta quello che lasci. E Fabrizio ha lasciato un segno bellissimo”.
“La sua scomparsa ha segnato tutti noi in modo profondo”, aggiunge Mara Venier spiegando come quell’evento abbia cambiato le sue priorità. “La scomparsa di Fabrizio mi ha fatto riflettere molto su questo. Anche se amo il mio lavoro e per me è importante, da quando Fabrizio non c’è più ho cercato di essere molto più vicina alle persone che amo. Ho capito che le cose importanti della vita sono altre. Noi, in fondo, facciamo solo televisione”, conclude.
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