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Israele bombarda il Qatar, paese amico dell’Occidente e considerato, fino a oggi, al sicuro. La Russia invade lo spazio aereo della Polonia con i droni, innescando i meccanismi di difesa della Nato. Nello Utah, nel cuore degli Stati Uniti, l’attivista conservatore Charlie Kirk viene ucciso da un cecchino mentre parla agli studenti. Il 9 e il 10 settembre 2025, a prescindere da quello che accadrà da qui in avanti, saranno ricordati come due giorni in cui l’escalation militare e la tensione politica hanno aggravato una crisi globale già da mesi sull’orlo di un conflitto esteso, con la guerra in Ucraina e la situazione a Gaza e nel resto del Medio Oriente a fare da detonatore. I fatti che si sono susseguiti in rapida successione complicano notevolmente il quadro soprattutto guardando a due elementi chiave: la tenuta del precario equilibrio geopolitico, con il rischio sempre più concreto che un incidente, più o meno voluto, possa far saltare la deterrenza che finora ha contenuto le operazioni di guerra russe all’interno dei confini ucraini; i rischi connessi alla sicurezza, con l’effetto emulazione che potrebbe potenzialmente portare ovunque, e contro qualsiasi obiettivo alto, la violenza politica. C’è poi un piano che mette insieme i due elementi. E’ lo stato di salute del trumpismo all’interno degli Stati Uniti e a livello globale. Sul primo fronte, i fatti dello Utah riaccendono un conflitto interno che rischia di generare. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo si legano alle drammatiche sequenze dell’assalto a Capitol Hill del 2021, agli attentati subiti dallo stesso Trump in campagna elettorale, e disegnano un quadro che riporta alla memoria i momenti più bui della storia americana. Sul fronte esterno, si indebolisce visibilmente la presunta capacità di Trump di governare il caos. Da quando è alla Casa Bianca, il Presidente americano ha lavorato sistematicamente per far saltare le regole dell’ordine mondiale che per decenni avevano dato una direzione alle dinamiche internazionali: dalla politica commerciale, con i dazi e gli Stati Uniti contro tutti, ai rapporti con l’Europa, sicuramente indebolita anche per responsabilità proprie; dalla protezione assicurata alle mosse di Israele fino alle altalenanti e schizofreniche relazioni con la Russia di Putin. Il risultato, oggi, a meno di un anno dalle elezioni che hanno portato Trump alla Casa Bianca, è un calderone in cui ribollono fattori di instabilità e di destabilizzazione. La guerra in Ucraina, che aveva promesso di fermare in ventiquattro ore, va avanti con la Russia di Putin di fatto ‘rilegittimata’ e ancora più esuberante sul piano militare. Israele continua a rilanciare su tutti i fronti un’offensiva che, con Gaza ormai rasa al suolo e la popolazione palestinese stremata, è sconfinata anche in Qatar nel tentativo di distruggere definitivamente quello che resta di Hamas. E bombardare Doha, proprio per i rapporti stretti tra Stati Uniti e l’emirato, vuol dire mettere in discussione anche quei pochi riferimenti che ancora reggevano in Medio Oriente. Insieme alle reali capacità di leadership di Trump, che gli ultimi due giorni hanno quantomeno rimesso in discussione. (di Fabio Insenga) —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
I due giorni neri (anche per Trump) che aggravano la crisi globale: Qatar, Polonia, Utah
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