(Adnkronos) – L’inserimento dei migranti nei settori della transizione energetica e dell’economia circolare non deve essere considerato un effetto collaterale della transizione, ma una leva fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici e per la crescita del settore, dei territori e delle filiere emergenti. E’ quanto emerge dai risultati del progetto di ricerca ‘Traiettorie – Flussi migratori, competenze e transizione energetica: trend e best practice di formazione e inclusione lavorativa’, dedicato al ruolo dei migranti nella transizione energetica e presentato oggi a Roma da Fondazione Maire Ets. La ricerca è articolata in otto studi realizzati da ricercatori e associazioni, finanziati attraverso un bando dalla Fondazione Maire Ets.
Secondo uno degli studi, nel 2023 i lavoratori stranieri rappresentavano già oltre un quinto degli addetti ai green jobs in Italia. Si rileva però una forte segmentazione: mentre i lavoratori italiani occupano le posizioni più specializzate, gli extra-Ue sono spesso impegnati in mansioni di base: un divario legato soprattutto alla difficoltà di riconoscere le qualifiche acquisite all’estero, alle barriere linguistiche e culturali e alla mancanza di percorsi formativi mirati.
Mentre secondo alcune previsioni l’obiettivo della neutralità climatica nel 2050 in Europa produrrebbe 2,5 milioni di posti di lavoro ed entro il 2030 a livello mondiale l’adattamento climatico e la mitigazione del cambiamento climatico insieme potrebbero produrre 8 milioni di nuovi posti di lavoro, in Italia si stima attualmente un gap di oltre 800mila lavoratori per i green jobs. Per rispondere a questa sfida, serve un progetto di formazione e inclusione lavorativa anche della popolazione migrante, rispetto alla quale occorre ridurre drasticamente i tempi di riconoscimento delle qualifiche, istituire percorsi mirati di up-/re-skilling e di integrazione sociale e culturale e creare un quadro di mappatura delle competenze verdi.
La ricerca sottolinea l’importanza di percorsi formativi integrati che combinino competenze tecniche, linguistiche e digitali, accompagnati da tutor e figure di riferimento. Esperienze pilota in diversi Paesi europei dimostrano infatti che i rifugiati qualificati possono adattarsi rapidamente, portando benefici concreti alle aziende e arricchendo culturalmente i team. Esperienze relative a corridoi lavorativi basati sulle esigenze del mercato del lavoro, con pre-formazione nel Paese di provenienza, stanno dimostrando la loro validità e potenzialità.
Due gli ambiti analizzati verticalmente: l’agrivoltaico, settore emergente che unisce agricoltura e fotovoltaico e che richiede una forza lavoro diversificata e qualificata, e i Distretti Industriali. Nell’agrivoltaico i migranti, spesso con esperienze agricole pregresse, possono essere adeguatamente formati sulle nuove tecnologie, migliorando la loro integrazione. Nei distretti industriali con una riconversione in atto in attività green e circolari, dove la presenza di lavoratori stranieri si intreccia con la sostenibilità ambientale, essa può trasformare i territori in veri laboratori di innovazione sociale ed economica. Gli studi sono stati realizzati da cinque ricercatori – Cecilia Fortunato, Antonio Umberto Mosetti, Luigi Campaniello, Carla Ventre, Angelique Witjes, coordinati da Andrea Billi e da tre associazioni, Talent Beyond Boundaries, NeXt, Nuova Economia per tutti e Fondazione Avsi-ets.
“Il mondo delle imprese sta vivendo una stagione particolare di carenza di alcuni profili professionali, che non si trovano più – dice Fabrizio Di Amato, presidente della Fondazione e del gruppo Maire – Il settore della transizione energetica ha bisogno, e ne avrà sempre di più, di persone formate: migranti e rifugiati possono rappresentare uno dei bacini di riferimento, specie se inseriti in programmi specifici di corridoi lavorativi. Le aziende devono investire in formazione mirata, in progetti di inclusione che coinvolgano i propri stakeholder, nell’ambito delle proprie strategie di sostenibilità e per fare questo hanno bisogno di essere accompagnate. Abbiamo lanciato come Gruppo un programma che prevede ogni anno l’ingresso di 100 nuovi professionisti, attratti e formati attraverso la rete dei nostri centri di competenza, tra i quali contiamo di formare una quota anche di migranti e rifugiati. Propongo di costituire un tavolo di implementazione con gli attori istituzionali e associativi disponibili ad aiutarci in questo nostro percorso”.
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