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Israele cambia nome a operazione a Gaza. Hamas consegna corpo di un altro ostaggio

(Adnkronos) – Israele voterà domenica per cambiare ufficialmente il nome dell’operazione contro Hamas, l’Iran e i suoi alleati da ‘Spade di Ferro’, annunciata dalle Idf all’indomani della strage del 7 ottobre, a ‘Guerra di Rinascita’. Lo ha riferito il Times of Israel, ricordando che fu il primo ministro, Benjamin Netanyahu, a suggerire un anno fa il nuovo nome dell’operazione.  

Durante una riunione di gabinetto in occasione del primo anniversario della guerra, il primo ministro affermò che “questa guerra è per la nostra esistenza – la ‘Guerra di Rinascita’ “. 

Intanto Hamas ha consegnato a Khan Younis il corpo di un altro ostaggio alla Croce rossa che a sua volta lo ha consegnato alle Forze di difese israeliane (Idf) nella Striscia di Gaza. E’ quanto riferisce l’ufficio del primo ministro israeliano secondo quanto riporta ‘The Times of Isral’. L’Idf è pronto a ispezionare la bara prima di avvolgerla in una bandiera israeliana e tenere una breve cerimonia guidata da un rabbino militare. I resti saranno poi portati all’istituto forense Abu Kabir di Tel Aviv per l’identificazione e la conferma che appartengono a un ostaggio ucciso. 

Hamas aveva fatto sapere nel pomeriggio di venerdì di aver recuperato il corpo di un altro ostaggio. 

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu proprio oggi ha chiesto al presidente americano Donald Trump che gli Stati Uniti e gli altri mediatori di fare pressione su Hamas affinché restituisca i corpi degli ultimi ostaggi rimasti nella Striscia di Gaza. Lo ha scritto Axios citando fonti informate sul colloquio telefonico che Netanyahu ha avuto ieri con Trump. Secondo il premier israeliano Hamas sta mentendo sui corpi degli ostaggi e sul fatto che non è in grado di localizzarli per poterli restituire. Un funzionario israeliano ha affermato che Trump ha detto a Netanyahu di essere a conoscenza del problema e che ci sta lavorando. 

“Hamas sarà disarmato, senza se e senza ma”. Lo ha dichiarato l’Ufficio del primo ministro israeliano in risposta alle parole del dirigente di Hamas Mohammed Nazzal, che aveva evitato di dire se il movimento palestinese fosse disposto a rinunciare alle armi. Nel comunicato, l’ufficio del premier ha aggiunto che Hamas “deve attenersi al piano in 20 punti di Trump” e ha avvertito che “il tempo sta per scadere”, ribadendo che il disarmo del gruppo resta “una condizione non negoziabile” per qualsiasi futuro accordo su Gaza. 

Nazzal, in un’intervista rilasciata in precedenza, aveva affermato di non poter rispondere “sì o no” alla domanda sul disarmo, definendolo “una questione ampia che coinvolge anche altre fazioni armate palestinesi”. Il dirigente di Hamas ha inoltre sostenuto che la presenza del gruppo è necessaria per “proteggere gli aiuti umanitari da ladri e bande armate” e ha proposto una tregua di tre-cinque anni per ricostruire Gaza, con una fase transitoria gestita da un’amministrazione tecnocratica e seguita da elezioni. 

Intanto l’inviato della Casa Bianca Steve Witkoff tornerà in Medio Oriente domenica sera per seguire l’attuazione del piano Trump per la fine della guerra a Gaza. Lo rivela Axios. Secondo la fonte citata da Axios, Witkoff dovrebbe recarsi in Egitto e in Israele durante il suo prossimo viaggio e probabilmente sarà anche nella Striscia di Gaza. Oltre a fare pressione su Hamas perché restituisca più corpi degli ostaggi ancora a Gaza, secondo Axios Witkoff continuerà a lavorare alla creazione della forza internazionale di stabilizzazione (Isf) che, secondo il piano elaborato dal presidente americano Trump, dovrebbe essere schierata in alcune parti di Gaza e consentire alle Idf di ritirarsi ulteriormente. 

Gli Stati Uniti vogliono anche avviare il processo di ricostruzione nelle zone della Striscia di Gaza che sono fuori dal controllo di Hamas, in particolare la città di Rafah nel sud dell’enclave palestinese al confine con l’Egitto. L’amministrazione Trump spera che Rafah possa diventare un esempio per una Gaza post-Hamas. 

È stato congelato il piano che si stava facendo faticosamente strada tra le istituzioni e le capitali europee per sanzionare i ministri estremisti del governo israeliano e sospendere parti dell’Accordo di associazione Ue-Israele. Lo rende noto Politico, attribuendo la responsabilità a “un gruppo di Paesi membri di primo piano” che “ritiene che non sia più necessario” alla luce dell’accordo mediato dagli Usa per porre fine alla guerra a Gaza. La testata cita quattro diplomatici europei secondo cui è “improbabile” che le misure ottengano il sostegno necessario tra le capitali Ue, ricordando che per tali sanzioni serve l’unanimità. Probabile anche il fallimento delle misure separate per limitare il commercio che sarebbero introdotte da un gruppo più piccolo di Paesi. 

La base di partenza è quanto dichiarato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso sullo stato dell’Unione Europea lo scorso settembre: l’inserimento dei ministri estremisti nella lista nera, l’imposizione di restrizioni sui coloni violenti della Cisgiordania e la sospensione di una serie di pagamenti bilaterali verso Israele. Le proposte saranno sul tavolo del Consiglio affari esteri che si svolgerà lunedì prossimo, nonché del Consiglio europeo in agenda per giovedì. “Nonostante ciò, documenti preliminari rivelano che non è ancora stato raggiunto alcun consenso”, rileva Politico. 

Secondo i diplomatici, l’esecutivo Ue “non intende ritirare il piano anche se la prospettiva di un cessate il fuoco duraturo lo ha gettato nell’incertezza”, nonostante la parziale apertura della Commissione. “Ovviamente, tali misure sono proposte in un dato contesto, e se il contesto cambia, ciò potrebbe anche eventualmente portare al cambiamento della proposta”, aveva detto la portavoce-capo della Commissione europea, Paula Pinho, nel corso del briefing giornaliero con la stampa dello scorso lunedì. 

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