(Adnkronos) –
Kevin De Bruyne, il centrocampista del Napoli, dovrà stare fuori dal campo per diversi mesi colpa di una lesione di alto grado del bicipite femorale della coscia destra. Non è la prima volta. De Bruyne è l’ultimo calciatore a subire questo tipo di infortunio “che è talmente importante da richiedere obbligatoriamente un intervento chirurgico, sono casi meno frequenti ma, soprattutto negli ultimi anni, si è notato un loro aumento a livello professionistico. Avere un team specializzato nella gestione di questi infortuni rappresenta una notevole discriminante nello sport di alto livello”. A fare il punto per l’Adnkronos Salute è Andrea Bernetti, professore ordinario di Medicina fisica e riabilitativa dell’Unisalento (Lecce) e segretario generale della Simfer (Società italiana di medicina fisica e riabilitativa).
“Gli infortuni muscolari degli arti inferiori sono tra gli infortuni più frequenti nel calcio e non solo. Causano un numero importante di giornate di assenza dall’attività sportiva rendendo la loro gestione critica. Rappresentano quindi un problema sempre più rilevante sia per gli atleti che per le squadre, in particolare quando si parla di professionismo – puntualizza Bernetti – Fortunatamente la maggior parte delle lesioni può essere gestita con un programma di cure riabilitative, adeguate anche al timing dell’infortunio stesso. Se infatti in una prima fase l’obiettivo è quello di ridurre l’ematoma conseguente una lesione, riducendo il carico sull’arto coinvolto, applicando ghiaccio, proteggendo la struttura coinvolta e utilizzando tutte le cautele del caso a seconda della localizzazione stessa, nell’attesa di una valutazione clinico strumentale rapida, nelle fasi successive l’obiettivo è anche quello di favorire un processo di riparazione virtuoso che riduca il più possibile il rischio di re-infortunio e permetta di ritornare in campo in sicurezza”.
“Questo può essere fatto in molti modi, sinergici tra loro, utilizzando ad esempio la terapia fisica strumentale, l’esercizio terapeutico (anche in acqua: idrochinesiterapia) e la terapia infiltrativa, ad esempio usando il ‘Platlet rich plasma – Plasma ricco di piastrine’ più conosciuto con l’acronimo di Prp – spiega il professore – Le infiltrazioni di Prp, sotto guida ecografica per raggiungere con sicurezza il sito di lesione, sono molto efficaci nel migliorare l’outcome di questi infortuni, specialmente se il contenuto di piastrine, ottenuto attraverso kit specifici, è molto alto”.
Esistono diverse classificazioni utilizzate a scopo diagnostico e prognostico, “utili anche per guidare il percorso di cure e migliorare l’outcome di questi infortuni. Una delle più utilizzate è la classificazione di ‘Monaco’ che, in particolare, divide gli infortuni in ‘non strutturali’ ovvero senza evidenza all’imaging di danno strutturale dell’unità miotendinea e ‘strutturali’ ovvero con evidenza di danno. La maggior parte degli infortuni – precisa Bernetti – è del primo tipo, ovvero senza danno e con prognosi limitata; tuttavia, essi possono comunque predisporre a tipologie di infortunio più gravi con presenza di lesione. La classificazione è molto importante perché guida l’orientamento terapeutico e permette di definire anche la tempistica per il ritorno in campo. Generalmente gli infortuni muscolari vengono valutati con il supporto dell’ecografia muscolo-scheletrica ma, in particolar modo negli atleti di alto livello, può essere molto importante un’integrazione diagnostica mediante risonanza magnetica”.
“Da questo punto di vista un’ulteriore classificazione utile è la ‘British Athletics Muscle Injury Classification (Bamic/Bac)’ che rappresenta un sistema basato sulla risonanza magnetica che valuta l’estensione della lesione e la sua sede. È una classificazione usata prevalentemente per le lesioni dei muscoli posteriori della coscia (ischiocrurali) che in assoluto sono il gruppo muscolare più soggetto a questo tipo di infortuni, ma viene utilizzata anche in altri infortuni muscolari. In particolare, questa classificazione permette anche di valutare se l’intervento debba essere conservativo, come nella maggior parte dei casi, oppure chirurgico, quando la lesione è molto importante con il coinvolgimento di gran parte del muscolo, della giunzione miotendinea e addirittura degli stessi tendini”, conclude.
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