(Adnkronos) – A poche ore dal suo ritorno in Italia, Cecilia Sala racconta la sua prigionia nel carcere di Evin a Mario Calabresi in una nuova puntata del suo podcast su Chora Media ‘Stories’. Dice di sentirsi “confusa” e “felicissima”. “Mi devo riabituare, devo riposare: questa notte non ho dormito per l’eccitazione, per la gioia, quella precedente per l’angoscia. Sto bene, sono molto contenta”, dice a Calabresi nel podcast dal titolo ‘I miei giorni a Evin, tra interrogatori e isolamento’. “Sento un po’ di senso di colpa dei fortunati. Sono stata molto fortunata oppure siete stati molto bravi voi tutti: Daniele, i miei genitori, te (riferendosi a Mario Calabresi ndr), le persone con cui lavoro e per cui lavoro, ovviamente il governo, la diplomazia, i servizi di sicurezza. Le condizioni erano veramente complicate, io ne avevo intuite alcune e altre no, ma era veramente difficile tirarmi fuori in 21 giorni, date le circostanze”. La giornalista ha raccontato di essere riuscita a ridere due volte durante i 20 giorni in isolamento a Teheran: “La prima volta che ho visto il cielo e poi quando c’era un uccellino che faceva un verso buffo. Il silenzio è un altro nemico in quel contesto. In quelle due occasioni ho riso. La prima volta che ho visto il cielo, per quanto in un piccolo cortile del carcere, con telecamere e filo spinato, mi sono sentita bene e mi sono concentrata su quell’attimo di gioia. Ho pianto e riso di gioia'”.
La cosa più difficile a Evin, ha spiegato Cecilia Sala, “è la tua testa”. ”La tua testa quando non hai nulla da fare, non ti stanchi, quindi non hai sonno, non dormi… Lì dentro un’ora sembra una settimana. La cosa che più volevo era un libro, la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori, un’altra storia in cui potessi immergermi che non fosse la mia. Non riuscivo ad avere tanti pensieri positivi rispetto alle mie prospettive”, ha detto la giornalista. E per questo motivo ha chiesto da subito il Corano in inglese, nonostante le avessero portato via anche gli occhiali, perché pensava fosse “l’unico libro in inglese che potessero avere in una prigione di massima sicurezza della Repubblica islamica ma non mi è stato dato per molti giorni”. “Non vedo senza le lenti e senza gli occhiali – ha spiegato Sala – e gli occhiali non me li hanno mai dati fino agli ultimi giorni perché sono pericolosi, perché puoi spaccare il vetro e usarli per tagliarti. Non ho potuto scrivere e non ho potuto avere una biro per lo stesso motivo, perché si può trasformare in un’arma però non mi hanno dato neanche le lenti a contatto”. “A un certo punto – continua Sala nel racconto – mi sono ritrovata a passare il tempo a contare i giorni, a contarmi le dita, a leggere gli ingredienti del pane, che era l’unica cosa in inglese. Ho fatto previsioni positive e anche molto negative su quello che sarebbe potuto essere il mio destino là dentro, ma non ho mai pensato che sarei stata liberata così presto”. Cecilia Sala ha confermato anche, come era emerso dalle telefonate al fidanzato e ai genitori, che non aveva un letto su cui dormire nella cella: “Avevo delle coperte, non avevo cuscini o materassi”. Per quanto riguarda il cibo invece “mangiavo tanto riso, nel riso c’erano lenticchie, carne. Il problema non è stato mangiare ma dormire”. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Cecilia Sala, primo podcast dopo ritorno in Italia: “Veramente difficile tirarmi fuori in 21 giorni”
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