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Il brigidino di Lamporecchio eccellenza certificata

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LAMPORECCHIO – Il brigidino di Lamporecchio è entrato a tutti gli effetti nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, Pat, della Toscana. Un primo ingresso era avvenuto già nel 2002 ma, con la revisione della scheda che lo descrive, si consacra tra i 464 prodotti tipici che testimoniano la storia gastronomica dell’alimentazione toscana cristallizzando il nome del prodotto e la sua carta di identità.

Nell’estate 2021 il Comune di Lamporecchio, provincia di Pistoia, insieme ai produttori, alle associazioni di categoria e ai maestri brigidinai, ha avviato il percorso con la Regione Toscana per l’approvazione dell’aggiornamento della scheda presente nei Pat. Questo ha comportato non solo una più puntuale messa a punto della ricetta del brigidino, ma soprattutto la necessità di confrontarsi con gli accresciti volumi produttivi di questa fragile ed aromatica cialda che negli anni ha guadagnato posizioni sui mercati, anche esteri. E’ stato grazie al lavoro compiuto dalle ditte produttrici e dai brigidinai che è stata realizzata la revisione della scheda che, oltre a dar conto del nome del prodotto e della sua storia, riporta la ricetta originale, che, in modo univoco, individua il vero e inimitabile brigidino di Lamporecchio.

A fine anno la Regione Toscana ha poi adottato il decreto, con il quale ha aggiornato la scheda del Brigidino di Lamporecchio trasmettendola al Ministero delle politiche agricole e forestali per la pubblicazione nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, confermando così pieno riconoscimento ad un prodotto che, grazie alla dedizione dei produttori locali, ha saputo trovare un crescente apprezzamento anche oltre gli eventi a cui partecipano i brigidinai con la caratteristica giostra da cui cadono i brigidini appena cotti.

La produzione risale al periodo rinascimentale. La leggenda vuole che siano state le suore di un convento ad inventare per sbaglio il brigidino. Tutto cominciò con un errore di suor Brigida, che si confuse mentre stava preparando l’impasto delle ostie. Le sorelle per non sprecare quel composto, pensarono di ingentilirlo aggiungendovi dei chicchi di anice.

 

© Riproduzione riservata

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