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Referendum 8 e 9 giugno 2025
. Prima il dato oggettivo. Poi il dato politico.
Il dato oggettivo riguarda il quorum referendario in un contesto in cui alle urne per le elezioni va si e no la metà degli aventi diritto. Qualche esempio recente di affluenza? 49.69% Europee 2024, 46.42% elezioni regionali Emilia Romagna 2024, 45.97% regionali Liguria 2024, 49.81% regionali Basilicata 2024, 41.68% regionali Lombardia 2023 e 37.20% regionali Lazio 2023. Per non parlare di ballottaggi per l’elezione dei sindaci quasi sempre ampiamente al di sotto a ipotetici quorum in termini di affluenza. Dati in cui stanno dentro i risultati di tutti i partiti al via. Con un quorum come da referendum nessuno in queste tornate elettorali sarebbe stato eletto.
Per cui era evidente che con una partecipazione al voto in crollo costante in Italia raggiungere il quorum nei cinque quesiti referendari abrogativi al voto 8 e 9 giugno, affluenza poco più del 30%, sarebbe stata pressoché una mission più o meno impossible.
Ed altrettanto evidente che in questo contesto che su una riforma vada fatta una riflessione.
Ora il dato politico. Che riguarda il Pd. Un Pd che reitera i soliti errori. E che si è messo, ha fatto tutto da solo, nella stessa posizione boomerang del suo ex segretario Renzi, allora premier, che su un referendum costituzionale nel 2016 giocò un all in, sovrapponendo l’esito del referendum a se stesso. Annunciando, in sostanza, che in caso di mancata vittoria del sì sarebbe andato a casa. Vinse il no e Renzi lasciò Palazzo Chigi.
Un Pd che avrebbe potuto vivere di rendita capitalizzando e rilanciando il grande consenso sul tema Gaza nella manifestazione del 7 giugno, vigilia del voto referendario, organizzata a Roma con M5S e Avs.
E invece no.
Il Pd, leader Elly Schlein, avrebbe potuto solo sostenere i cinque referendum di cui non erano promotori i dem, senza andare a traino di Cgil promotore. E soprattutto condurre la campagna referendaria solo nel merito dei cinque quesiti per i quali invitava a votare altrettanti sì. Invece ha preferito puntare il dito contro la premier Meloni, leader FdI. Per sapere se la premier sarebbe andava a votare, cosa avrebbe votato, perché avrebbe votato, quando avrebbe votato. Sovrapponendo, in sostanza, un voto referendario a un voto contro il Governo. E creandosi così da solo il Pd, come fece Renzi, un perfetto effetto boomerang in caso di mancato quorum o di vittoria dei no. Servendo su un piatto d’argento a Meloni una vittoria in una partita creata dal Pd.
Che è esattamente come quando per il Pd nelle varie campagne elettorale il tema principale è il leit motiv centrodestra e fascismo.
Errore che Landini, segretario generale Cgil, ha cercato di evitare nelle dichiarazioni in modalità funambolo per evitare eventuali sue dimissioni in caso di risultato negativo per i promotori. Parlando il più possibile di obiettivo quorum. Per cui, per ora, non si dimette.
Non solo.
Il Pd continua a reiterare un altro identico errore made in Pd. Quello di ammettere difficilmente tra le opzioni l’autocritica.
Ricorderete Letta predecessore di Schlein all’indomani delle politiche 2022 perse dal Pd in primis per miopia politica di Letta stesso? Letta mai fece mea culpa. Per poi dimettersi.
E così Schlein commenta a caldo: “Per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022”.