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PRATO – A Prato, la maxi indagine Chinatruck — quella che avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di una struttura mafiosa cinese in Italia — è bloccata da quattro anni. L’ultima udienza è saltata ancora una volta: l’interprete incaricata della traduzione delle intercettazioni è scomparsa.
Non è un caso isolato. Anche il perito precedente si era tirato indietro. Nel frattempo, migliaia di conversazioni telefoniche, registrate in dialetti cinesi come quelli di Fujian e di Wenzhou, attendono ancora di essere tradotte. Senza quelle trascrizioni, il processo non può andare avanti: chi rifiuta, chi sparisce, chi parte per la Cina e promette di tornare ‘forse’ l’anno successivo.
Senza traduzioni, manca la prova principale a sostegno dell’accusa di associazione mafiosa. Nessun testimone è mai stato ascoltato, e il procedimento resta fermo.
Cresce così il dubbio: è solo paura o c’è qualcosa di più? Intimidazioni? Pressioni? O è davvero impossibile trovare un interprete in grado — e disposto — a portare avanti questo lavoro?
Nel frattempo Zhang Naizhong, indicato come il ‘capo dei capi’ dell’organizzazione, è già stato assolto dall’unico reato contestatogli, quello di usura.
Ma la criminalità cinese a Prato continua a farsi sentire, come dimostrano i numerosi episodi registrati negli ultimi mesi. Una maxi inchiesta iniziata undici anni fa. Una prova chiave che ancora manca. Una giustizia che, ancora una volta, non riesce a dare risposte.