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martedì 2 Settembre 2025
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Quando l’accoglienza diventa vita: la storia di Amine

Da rifugiato a operatore sociale, la sua vicenda mostra come solidarietà e volontà possano trasformare difficoltà in opportunità

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FIRENZE – La prima volta che Amine ha messo piede in Italia, nel 2018, non aveva nulla. Solo un bagaglio pieno di speranze e un cuore carico di incertezze. Dopo un lungo viaggio in Europa, si ritrova a Firenze. Deve ricominciare da zero.

“Oggi la cosa che mi rende felice è sentirmi utile”, dice. Ma la strada non è stata facile. “All’inizio avevo lasciato tanto dietro di me e davanti non c’era nulla. Ma sentivo che valesse la pena provarci”.

Uno dei primi passi è stato lo studio. Laureato in diritto in Marocco, Amine si iscrive all’Università italiana pochi mesi dopo l’arrivo. Non completa il percorso per necessità lavorative, ma lo studio diventa per lui una chiave per capire il nuovo mondo. “Mi ha aiutato a conoscere il Paese e a conoscere me stesso”, racconta.

Poi arriva l’incontro con la Fondazione Solidarietà Caritas Firenze. Nasce quasi per caso, durante un’attività di mediazione linguistica con una giovane donna in difficoltà. È lì che Amine scopre il mondo dell’accoglienza, un mondo che lo cattura subito. “Non conoscevo la donna, non conoscevo l’équipe. Ma ho capito che questo era un luogo dove non si resta indifferenti. La vita delle persone entra nella tua vita”, dice.

Quella prima esperienza diventa una vocazione. Oggi Amine è operatore sanitario in un centro di accoglienza e negli appartamenti del Sai. Ogni giorno segue gli ospiti con pazienza e discrezione, aiutandoli a trovare la loro strada. “Non c’è una formula fissa. Ogni persona ti rimette in discussione”, spiega.

Rivede in chi incontra parte del suo passato: la paura, la fragilità, la fatica di chi lascia tutto per cercare un futuro migliore. “In molte persone rivedo me stesso. Ma ognuno ha la sua storia. Alcune sono più pesanti della mia. A volte torni a casa e certe storie ti restano addosso”, confida.

Per lui, l’accoglienza è presenza costante, rispetto dei tempi, fiducia costruita giorno dopo giorno. “Noi non aspettiamo che gli ospiti vengano da noi. Andiamo noi da loro, delicatamente, senza forzare”, racconta.

Il lavoro è duro. Non tutti ce la fanno. Ma l’obiettivo di Amine e della sua équipe non è creare persone “perfette”, ma accompagnare ciascuno verso autonomia e dignità, anche se piccola.
“Non c’è il più bravo o il meno bravo. C’è chi trova una strada, chi ha bisogno di tempo”, spiega.

Amine coltiva passioni e sogni: suona, scrive musica, spera di tornare all’Università. Porta dentro di sé due grandi perdite: suo padre e sua nonna, persi durante la pandemia. “Sono le mie cicatrici. Sto imparando a trasformarle in forza”, dice.

Nonostante la nostalgia per la famiglia lontana, ha scelto di restare in Italia. Qui ha costruito un pezzo di futuro. “Firenze mi ha accolto. E oggi, grazie alla Fondazione, posso restituire un po’ di quel bene ricevuto. Anche quando le giornate sono pesanti, so che ha senso esserci”.

L’Area Immigrazione della Fondazione coordina 20 Cas, 3 progetti e 18 case Sai, con 386 posti letto. Le nazionalità più presenti sono Bangladesh, Pakistan, Afghanistan e Ucraina.

© Riproduzione riservata

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