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Educazione sessuale a scuola, il governo stringe: divieto fino alle medie e consenso informato per le superiori

Un divieto per infanzia, primaria e medie, un’autorizzazione scritta per le superiori e una promessa – quella di “proteggere i ragazzi da contenuti inadeguati” – che divide in due il Parlamento. L’emendamento della deputata leghista Giorgia Latini, approvato in Commissione Cultura alla Camera, modifica radicalmente le regole su come la scuola italiana potrà affrontare i temi della sessualità.
Il testo vieta ogni attività su questi argomenti fino ai 13 anni e introduce per le superiori un consenso informato preventivo delle famiglie.

Per la maggioranza è una questione di trasparenza e rispetto del ruolo genitoriale. Per le opposizioni, un passo indietro di vent’anni: un ritorno a una scuola che evita, tace, aggira.

Divieto totale fino alle medie e stretta sugli esperti

Per scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado “sono escluse, in ogni caso, le attività didattiche e progettuali aventi ad oggetto temi attinenti all’ambito della sessualità”.
Tradotto: niente corsi sull’affettività, niente educazione alla prevenzione, niente incontri con esperti su contraccezione o malattie sessualmente trasmissibili. Il divieto, già previsto per i più piccoli, ora arriva fino ai tredicenni.

Alle superiori cambia la logica: prima di ogni attività, la scuola dovrà informare le famiglie con largo anticipo – obiettivi, contenuti, materiali e profili degli esperti – e ottenere un consenso scritto. Chi non firma, resta fuori.

Il disegno di legge impone inoltre una selezione rigida per chi entra in aula: il collegio docenti stabilisce i criteri, il consiglio d’istituto approva, i titoli vengono verificati uno per uno. Un percorso pensato per “garantire trasparenza”, ma che introduce un doppio livello di controllo politico e amministrativo.
L’impianto non tocca le Indicazioni nazionali, ma svuota di fatto la flessibilità che molte scuole usavano per ampliare l’offerta formativa. Finora erano i dirigenti a valutare e costruire percorsi, spesso in collaborazione con Asl e centri territoriali. Ora ogni proposta dovrà passare per un iter che, di fatto, può bloccarla.
L’intento pare essere quello di evitare che attivisti o operatori “non qualificati” trattino temi “inadeguati per l’età”. Il prezzo, però, è la cancellazione di uno spazio educativo che negli ultimi anni si era guadagnato legittimità e risultati.

Scontro in Commissione

In Commissione il confronto è diventato subito scontro. Il Partito democratico ha parlato di “atto gravissimo”. “Mentre il Paese fa i conti con un altro femminicidio – ha dichiarato Irene Manzi, responsabile scuola del Pd – il governo sceglie di restringere gli spazi dedicati all’educazione all’affettività e al rispetto”. Per Manzi è “un modello censorio che lascia campo libero alla disinformazione”.
I colleghi di partito Mauro Berruto, Sara Ferrari, Giovanna Iacono e Matteo Orfini hanno ricordato come “da decenni molte scuole collaborano con le Asl per progetti di educazione sessuale”. “Togliere quegli spazi – scrivono – significa condannare i ragazzi a informarsi su Internet, non con i professionisti della sanità pubblica”. Durissima anche Elisabetta Piccolotti (AVS): “Deriva oscurantista. Si nega la laicità della scuola e si impone una visione religiosa fondamentalista. Alle superiori, poi, rischiamo discriminazioni tra studenti, con genitori che potranno vietare alle figlie di partecipare a lezioni sul rispetto e sulla violenza di genere”.

Dall’altra parte della barricata, Rossano Sasso, relatore leghista del ddl Valditara, parla di “misura di buon senso”. “Non vietiamo l’educazione alla sessualità – spiega – ma fermiamo tentativi di indottrinamento da parte di attivisti ideologizzati. Serve un percorso coerente e rispettoso del ruolo dei genitori”.
La frattura è tanto politica quanto culturale. Da un lato, chi ritiene che la scuola debba formare anche sul terreno delle relazioni e dell’identità. Dall’altro, chi vede in quell’ambito un rischio di ingerenza, un confine da presidiare.

I dati dicono altro

Mentre in Parlamento si discute di limiti, fuori dalle aule i numeri mostrano tutt’altro.
L’“Osservatorio Giovani e Sessualità 2025”, realizzato da Durex con Skuola.net su oltre 15mila ragazzi tra 11 e 24 anni, fotografa un panorama fragile. Quasi un adolescente su dieci (9,8%) ha avuto il primo rapporto sessuale prima dei 13 anni. E quasi la metà (49%) non parla mai di sesso o contraccezione in famiglia: un balzo di dodici punti in un solo anno.

Come affrontare l’educazione sessuale in base all’età: la guida pratica

L’imbarazzo è il muro più alto (46,8%), ma pesa anche la percezione della sessualità come argomento “proibito” (14,5%). Così Internet diventa la prima fonte di informazione (53,2%), apprezzata per anonimato e velocità, ma pericolosa per la quantità di contenuti distorti o inaffidabili.
Il fronte della prevenzione non va meglio: l’uso regolare del preservativo è sceso al 45,4%, undici punti in meno rispetto al 2019. Tra gli 11-13enni solo il 37% lo usa, il 41,6% mai. Numeri che in molti Paesi europei suonerebbero come allarmi di sanità pubblica.

Eppure, quasi nove ragazzi su dieci (88,9%) e otto genitori su dieci (78,6%) chiedono più educazione affettiva e sessuale a scuola, non meno. Il 45% dei genitori la vorrebbe già dalle medie, un terzo addirittura dalla primaria.

“Il primo approccio alla sessualità avviene sempre più presto – avverte Filippo Nimbi, psicologo e sessuologo clinico – e in assenza di un’educazione strutturata i ragazzi restano esposti a rischi concreti. Servono percorsi scientifici e inclusivi, guidati da professionisti”.

I dati descrivono un’urgenza educativa che il nuovo impianto normativo sembra ignorare. Mentre le statistiche parlano di dialogo da ricostruire, il Parlamento interviene riducendo i luoghi in cui quel dialogo può nascere.

Giovani

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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