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FIRENZE – Le luminarie accendono il centro storico. Le strade trasudano atmosfera di festa, famiglia, comunità. Ma basta spostarsi di pochi chilometri per trovare il buio. A Sollicciano il Natale non arriva, o se arriva, fa più male. A denunciare questa frattura è l’associazione Pantagruel, storica presenza di volontariato all’interno del penitenziario fiorentino.
Le parole dei volontari sono pietre. Descrivono un carcere vissuto come un “mondo a parte”, totalmente scollegato dalla città. “Il contrasto diventa quasi violento”, spiegano da Pantagruel. Fuori ci sono i messaggi di solidarietà e le luci. Dentro restano il silenzio, l’isolamento e le difficoltà di chi ci vive e di chi ci lavora. Secondo l’associazione, è paradossale: proprio nei giorni in cui si predica l’attenzione agli ultimi, il carcere scompare dallo sguardo collettivo. Sollicciano finisce in un cono d’ombra, escluso dalla narrazione della festa.
Non è solo una questione emotiva. I problemi sono tremendamente pratici. In un recente incontro con la direttrice e i vertici della polizia penitenziaria, i volontari hanno messo in fila le urgenze. L’elenco è lungo: ascensori guasti, bancomat fuori servizio, infiltrazioni d’acqua. E poi la carenza di spazi per i colloqui e le grandi emergenze sanitarie, dalla salute mentale alla tossicodipendenza.
In questo scenario, uno spiraglio di luce c’è. L’arcivescovo Gherardo Gambelli celebrerà la messa di Natale tra i detenuti. Una scelta non casuale per chi, in quelle celle, è stato cappellano per anni. “Un segnale importante – commentano i volontari – un gesto che rompe l’isolamento e invita la città a non voltarsi dall’altra parte”. La speranza di Pantagruel è che questo serva a riattivare il dialogo tra istituzioni e società civile. L’obiettivo è uno solo: disincagliare Sollicciano, che da troppo tempo naviga alla deriva come un “vascello fantasma“.



