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Niente procreazione medicalmente assistita con il seme del marito morto: anche la Corte d’Appello dice no

L'uomo, malato oncologico, aveva effettuato la donazione e poi disposto per testamento. Ma la scelta è "contraria all'ordine pubblico"

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FIRENZE — Una sentenza destinata a riaccendere il dibattito bioetico in Italia quella emessa dalla Corte d’Appello di Firenze, che ha negato a una donna la possibilità di utilizzare il seme crioconservato del marito defunto. Come riportato dal Corriere Fiorentino, i giudici non solo hanno confermato la decisione di primo grado del 2021, ma hanno spinto il verdetto oltre, disponendo la distruzione definitiva del campione biologico per impedire che la vedova possa ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (Pma) in paesi esteri dove tale pratica è legale.

La vicenda affonda le radici in un dramma umano e sanitario. L’uomo, prima di sottoporsi a invasive terapie per una neoplasia, aveva deciso di depositare il proprio liquido seminale presso una struttura specializzata di Firenze, nel timore che le cure potessero portarlo alla morte o alla sterilità permanente. La volontà del defunto era cristallina, affidata a un testamento olografo in cui autorizzava esplicitamente la compagna al ritiro del campione: l’obiettivo era quello di realizzare, si legge negli atti citati dal quotidiano, “il nostro sogno di procreare un nostro bambino, anche se io venissi a mancare”.

Tuttavia, per i magistrati fiorentini, il desiderio della coppia si scontra con il muro invalicabile della legge 40/2004. Le disposizioni testamentarie sono state dichiarate nulle poiché ritenute “contrarie all’ordine pubblico”. In Italia, infatti, la fecondazione post mortem non è consentita: la normativa vigente richiede che entrambi i partner siano in vita al momento del trattamento, e tale divieto resta ferreo anche in presenza di un accordo scritto tra le parti o di una volontà testamentaria esplicita.

L’aspetto più drastico della sentenza riguarda però la sorte del materiale biologico. La Corte ha ordinato la distruzione del seme crio-conservato per neutralizzare quello che i giudici definiscono un rischio concreto di “aggiramento della legge dello Stato”. Secondo il collegio, se il campione venisse consegnato alla donna, quest’ultima potrebbe trasferirlo in cliniche straniere (in Paesi come la Spagna o il Regno Unito, dove la procedura è ammessa sotto certe condizioni), rendendo vana la proibizione italiana.

La battaglia legale, che tocca i confini tra autodeterminazione, diritto alla genitorialità e limiti legislativi, potrebbe non finire qui. Al momento, l’unica barriera tra il campione biologico e l’inceneritore è un possibile ricorso in Cassazione. Se la donna decidesse di appellarsi agli Ermellini, la distruzione verrebbe sospesa in attesa del verdetto definitivo della Suprema Corte, che dovrà stabilire se il ‘sogno’ di una vita possa sopravvivere alla morte o debba soccombere di fronte ai rigori del diritto positivo.

© Riproduzione riservata

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