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Giorno del Ricordo, studenti croati e italiani spiegano le foibe.
Giorno del Ricordo sabato 10 febbraio.
“Coltivare la memoria è importante, ma non è sufficiente. La memoria è legata al ricordo personale e può essere a volte divisiva o diventare oggetto di odio. Per questo serve la conoscenza storica e la lettura dei documenti. Immaginatevi – dice lo storico Luca Bravi dal palco del Cinema La Compagna a Firenze, più di 350 studenti davanti a lui – che la cultura sia come un mosaico. Per funzionare ha bisogno di tutti gli elementi, ma non faremmo buona memoria se le tessere non servissero, tutte insieme, a costruire un percorso di pace. Di dialogo e di riappacificazione, anche”.
“E quale miglior modo di farlo –ricorda l’assessora all’istruzione e alla memoria Regione Toscana Alessandra Nardini – se non parlando con i giovani, facendo dialogare tra loro studenti adolescenti italiani e coetanei croati, riflettendo sui confini che sono luoghi di scontro ma anche di incontro. Con un gemellaggio ed uno scambio culturale, ad esempio, come quello promosso dalla Regione Toscana ed organizzato attraverso le scuole e gli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea”.
Il progetto ha coinvolto Russel Newton di Scandicci , Giovanni Castiglione di Arezzo, Pertini di Lucca e Copernico di Prato, oltre alla scuola media superiore italiana di Fiume.
Cambiare prospettiva e mettersi nei panni dell’altro è del resto, spesso, il miglior modo per crescere ed imparare. Cercando di intrecciare insieme il passato e il presente, come sottolinea Ilaria Cansella, direttrice dell’istituto storico della Resistenza ed età contemporanea di Grosseto, a proposito del progetto toscano sul valore del ricordo. “I nostri istituti da venti anni lavorano su questi temi con le scuole” ricorda Matteo Mazzoni, direttore dell’Istituto storico toscano della Resistenze e dell’età contemporanea prima di ricostruire, con una serie di suggestioni, le guerre e le violenze che sono succedute lungo il confine orientale. a parti più volte invertite. “Sia chiaro – avverte – le violenze commesse dai fascisti e dei nazisti non possono giusticare la risposta titina che arriva dopo, ma ciò che è avvenuto dopo non cancella quello che è venuto prima”.
C’è una foto dei presidenti italiano Mattarella e sloveno Pahor del 2020, a Basovizza. Basovizza è una frazione del comune di Trieste e lì si trova il pozzo di una miniera abbandonata che è diventato il simbolo di tutte le stragi compiute da parte jugoslava prima in Istria e poi nella Venezia Giulia. Quasi cinquecento scomparvero nel 1943, tra le quattro e le cinquemila persone svanirono invece nel nulla tra maggio e giugno del 1945 alla fine della guerra.
Le prime, sottolinea Regione Toscana, “furono violenze da clima di insurrezione popolare successive all’armistizio dell’8 settembre. I croati colpirono quegli italiani che erano stati vissuti fino al giorno prima come oppressori e chiunque venisse riconosciuto come fascista – e magari non lo era stato – o faceva parte della borghesia rischiava grosso. Di diversa natura furono le violenze del 1945, quando l’esercito jugoslavo arrestò tutte le persone in divisa. Non solo militari, ma anche esponenti della guardia civica, carabinieri, questurini (come quei duecento che due preti sloveni videro a Basovizza, sottoposti ad un processo popolare), bidelli anche. Ne fecero le spese non solo gli italiani, ma tutti coloro che si pensava potessere mettere a rischio la creazione di un stato yugoslavo con Trieste e l’Istria, che era il progetto di Tito. In diciottomila forse furono deportati e in 4-5mila non fecero ritorno”.
“Ma Basovizza conserva all’ombra di tre alberi anche il monumento a quattro eroi sloveni: quattro giovanissimi antifascisti condannati a morte, i primi, nel 1930 dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato fascista. Memorie contrapposte, da riunire”.
Dei quattro progetti presentati al Teatro della Compagnia di Firenze per il Giorno del Ricordo uno parla di Sergio Rusich. Insegnante, partigiano ed esule istriano, maestro alla scuola della Montagnola nel quartiere dell’Isolotto a Firenze dove gli è stato intitolato l’anno scorso un giardino. Un nome su una targa diventa in questo caso un viaggio tra vite reali e pagine di storia.
Intervengono con un videomessaggio Marino Micich, figlio di esuli e direttore della Società di studi fiumani e dell’Archivio museo storico di Fiume, tra i principali studiosi delle vicende della frontiera orientale italiane, e Michele Scembra, preside della Scuola media superiore italian di Fiume, fondata nel 1888 e felice di partecipare al progetto toscano.
Sul palco studenti croati e italiani insieme. I ragazzi “raccontano anche l’avversione con cui gli esuli italiani furono accolti in Italia. Uno dei convogli con cui arrivarono fu respinto a Bologna, rischiando il linciaggio, e dirottato su Parma. Riflettono su cosa è storia e cosa èp memoria”.
“Ragazze e ragazzi parlano anche del valore delle contaminazioni e di come le appartenenze plurali siano una ricchezza: il messaggio forse più positivo, dove i confini diventano opportunità di incontro e scambio tra culture diverse”.