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FIRENZE – All’ingresso dell’Atelier Alzheimer, a due passi dall’ex Gasometro in via dell’Anconella a Firenze, c’è una presenza inconsueta che attira subito l’attenzione: un bassotto dal pelo lucido, lo sguardo attento, e un nome che sembra uscito da un libro per bambini. Si chiama Dodo, ed è molto più di un cane da compagnia. È parte integrante di un progetto che unisce creatività, assistenza e relazioni umane per supportare persone con diagnosi di lieve demenza.
L’Atelier Alzheimer è un’iniziativa della cooperativa Nomos, che due volte a settimana – il lunedì e il giovedì – apre le porte a un gruppo di anziani all’interno del Centro Età Libera. Un luogo pensato per chi vive senza il supporto quotidiano di familiari o badanti, e che qui trova un contesto protetto, stimolante e inclusivo. Educatori, psicologi, musicoterapeuti e neuropsicologi lavorano insieme per offrire attività che aiutano a rallentare il decorso della malattia, promuovendo il benessere emotivo e cognitivo.
In questo quadro strutturato e professionale, l’arrivo di Dodo è stato del tutto inaspettato. Il cane è entrato all’Atelier accompagnando una donna che non riusciva a separarsi dal suo animale domestico. Di fronte a questa difficoltà, gli operatori hanno deciso di sperimentare. Hanno chiesto il parere degli altri ospiti e delle famiglie, ottenendo un consenso unanime. Così Dodo ha iniziato a frequentare il centro.
Il cane, pur non presente in tutte le giornate, è diventato una figura familiare. Gli è stata riservata una sedia, viene nutrito e accudito dagli anziani stessi, che si alternano nel portarlo in giardino o offrirgli una carezza. Una presenza silenziosa ma significativa, capace di ridurre il senso di isolamento e riportare attenzione sul valore della relazione.
L’esperienza di Dodo è una dimostrazione concreta di quanto la pet therapy – anche in forma non strutturata – possa essere efficace in contesti di fragilità cognitiva. Ma è anche la prova che l’innovazione sociale può nascere da una semplice richiesta: quella di non separarsi da un legame importante.
L’effetto di Dodo si riflette non solo nella relazione con l’animale, ma anche nel miglioramento dell’atteggiamento generale degli anziani, rendendo l’Atelier un luogo dove ci si sente a proprio agio, accolti e liberi di esprimersi.
Il caso di Firenze dimostra che anche nei servizi alla persona si può sperimentare, a patto di farlo con attenzione, coinvolgendo chi partecipa e rispettando le dinamiche di gruppo. Un bassotto, da solo, non può risolvere la complessità di una patologia neurodegenerativa. Ma può creare connessioni, stimolare sorrisi e dare vita a piccole trasformazioni.