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Andy Diaz: “L’addio a Cuba per diventare campione in Italia. Ai Mondiali di atletica sono l’uomo da battere”

(Adnkronos) – L’ultimo anno è un po’ il suo ‘Cogito ergo sum’. Andy Diaz, stella azzurra del salto triplo ai Mondiali di atletica 2025 a Tokyo, si racconta all’Adnkronos e le sue parole riportano alla mente la formula del filosofo Cartesio. Nel suo caso è un ‘Vinco, quindi sono’. “Dopo il bronzo alle Olimpiadi di Parigi – sorride – mi sono confermato anche in altre manifestazioni, dall’Europeo al Mondiale indoor, chiusi con due ori. Questi successi dicono qualcosa in più sulle mie ambizioni. Non mi piace perdere manco a carte e vado sempre avanti, ho ancora una decina d’anni per farvi divertire”.  
Nato a L’Avana il 25 dicembre 1995, Andy ha gareggiato per Cuba fino al 2021. Dopo i Giochi Olimpici di Tokyo ha optato per il grande cambiamento, lasciando la delegazione della sua nazionale durante uno scalo in Spagna per rifarsi una vita. “In valigia c’erano un paio di scarpe chiodate e poco altro” ricorda, spiegando come sia stato fondamentale l’aiuto di Fabrizio Donato, leggenda dell’atletica azzurra, bronzo nella stessa disciplina a Londra 2012 e oggi suo coach.  “Lo chiamai su Instagram, parlammo, spiegai la situazione e mi aiutò, ospitandomi per un po’ di tempo a Roma. Mi ha accolto con la sua famiglia. Ho chiesto asilo politico in Italia e poi ho ottenuto la cittadinanza per meriti sportivi”.  
Diaz, oggi può dire di aver avuto ragione. Ma quanto è stato complicato prendere quella decisione?  “Allontanarmi da casa è stato il passo più difficile, ma l’ho fatto con un obiettivo. Emergere nell’atletica e diventare un campione. Per cambiare la mia vita, certo, ma pure quella della mia famiglia. Volevo fare qualcosa di buono soprattutto per loro. A Cuba c’è una situazione precaria, mancano le cose basilari. Un familiare all’estero, in grado di guadagnare qualche soldo e dare una mano anche solo per comprare cibo, poteva solo essere d’aiuto. Pensavo a questo”.  
Sistemate alcune pratiche, a Roma è arrivata anche sua madre. Oggi vive con lei, non lontano da casa di Fabrizio…  “Lasciata Cuba, sono stato due anni senza vederla. Arrivato in Italia, dopo aver risolto la mia situazione, ho subito pensato al modo per farla venire. Averla accanto mi ha aiutato tantissimo. Io tengo alla famiglia, spero di avvicinarla ancora di più nei prossimi anni. Mamma prova a seguirmi in tutte le gare, lo fa fin dagli inizi, ma con il passaporto cubano non è semplice. È con me anche qui a Tokyo”.  
E il resto della famiglia?  “Sento spesso papà, nonna, i miei cugini. Abbiamo un rapporto solido, siamo sempre in contatto. A volte magari non telefono perché sono assorbito dalle gare, loro però lo sanno e cercano di disturbarmi il meno possibile. Io per il momento a Cuba non posso entrare, ma sto cercando di avere tutti con me”.  
Oggi è il triplista che tutto il mondo invidia all’Italia. Ci pensa?  “Percepisco questo amore e lo racconto con un aneddoto. A Monaco, in Diamond League, mi stavo preparando per la gara. Avevo di fronte il rettilineo della pedana del triplo e accanto una parte di stadio tutta azzurra. Tifavano per me, cantavano il mio nome. Lì mi sono emozionato. Wow. Non sono andato via finché non ho firmato autografi e fatto foto con tutti. È stato il mio modo di dire ‘Grazie’. Anche se non avevo vinto, tutti mi dicevano che ero il migliore, il più forte. Sono cose che danno gioia, fanno andare avanti con più energia. Io lavoro ogni giorno per non deludere le aspettative. E da Parigi, la prima occasione che ho avuto con la canotta azzurra, penso di esserci riuscito”.  
Come arriva a questi Mondiali di atletica a Tokyo?  “Sto bene, ho recuperato e mi sono allenato. Siamo pronti”.  
Si sente l’uomo da battere?  “Certo, assolutamente sì. Non difendo il titolo perché non sono andato ai Mondiali 2023, ma sono qua per puntare all’oro. Ho la miglior prestazione dell’anno, 17 metri e 80. Sia per misura che per successi nel 2025, so che tutti guarderanno me”.  
Tra i suoi obiettivi per il futuro c’è anche il record del mondo del salto triplo?  “Ci penso tutti i giorni, il 18.29 di Jonathan Edwards resiste ormai da 30 anni. Purtroppo quando sono vicino al top della condizione succede sempre qualcosa, i fastidi fisici spesso mi hanno limitato. L’unica cosa che posso dire oggi è che non finirò la mia carriera senza fare qualche tentativo. Sto lavorando tantissimo per arrivare al top, è l’unica ricetta per superare la barriera dei 18 metri”.  
Può aiutare la fusione tra la scuola cubana, da cui proviene, e quella italiana?  “La formazione a Cuba mi ha dato una mano, ma fino a un certo punto. Poi, grazie a Fabrizio Donato sono riuscito a sviluppare caratteristiche, come la velocità, che mi hanno permesso di mantenere un livello alto. Mentre prima facevo 17 metri un giorno e poi non ci riuscivo per un po’, forse oggi sono il triplista con più costanza. Da quattro anni faccio più di 17,50 in ogni gara e non è un caso. Il merito è tutto suo, sa come portarmi a ogni appuntamento nelle migliori condizioni. Abbiamo dimostrato che l’unione fa la forza. Fabrizio è stato un atleta di livello mondiale per tanto tempo, il triplista più longevo. A Cuba non hanno questa qualità, gli atleti chiudono presto la carriera. Con lui, penso invece di poter arrivare a 40 anni e divertirmi ancora nelle competizioni”.  
Quest’anno ha cantato l’inno italiano più di una volta sul podio. In cosa si sente più azzurro e in cosa più cubano?  “A Cuba sono nato. Non posso togliere dalla mia testa e dal mio cuore 25 anni di storia, vengo da lì. Mi sento però italianissimo in tante cose. Pensi, ormai parlo italiano in ogni contesto. Pochi mesi fa ho incontrato a Valencia alcuni colleghi del salto triplo, amici cubani. Loro parlavano, io rispondevo in italiano perché ormai non mi vengono le parole in spagnolo. Dell’Italia poi adoro il cibo, impazzisco per la carbonara e mi piace mangiare in un certo modo. Questione di abitudini”.  
A proposito, c’è qualche abitudine particolare prima di scendere in pista?  “Prima di ogni gara, devo sistemarmi i capelli. Tassativo. Ho fatto lo stesso prima della partenza per Tokyo. Sono andato dal barbiere e mi hanno rimesso a posto le treccine, per essere aerodinamico”. E se la ride. “Non so se è scaramanzia o vanità, ma poi magari vinco e tocca fare le foto. In quel caso, ci tengo a venire bene”.  
Ha superato tante difficoltà, ma non capita a tutti di dare forma ai sogni come ha fatto lei. C’è un messaggio che vuole mandare?  “L’unica cosa che posso dire è ‘Ragazzi, non mollate’. Il percorso per arrivare in cima è complicato. O si è deboli e ci si ferma alla prima difficoltà, o si è abbastanza forti da andare avanti. La cosa più brutta è svegliarsi un giorno e dire ‘Peccato, potevo esserci io là’. Il messaggio è questo. Non dovete avere rimpianti, mai. Tutto è possibile, a volte serve solo prendere la rincorsa”. (di Michele Antonelli) —sportwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

© Riproduzione riservata

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