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LIVORNO _ Nel bicentenario della nascita di Giovanni Fattori, Livorno celebra uno dei suoi figli più illustri con una grande mostra a Villa Mimbelli, che sta attirando un pubblico numeroso e trasversale. Non si tratta solo di un’esposizione celebrativa, ma di un’occasione per rileggere in profondità la figura dell’artista e riscoprirne la sorprendente modernità e attualità. Un progetto nato in tempi stretti ma con una visione chiara, che ha coinvolto studiosi, istituzioni e cittadini, diventando uno dei momenti culturali più significativi degli ultimi anni a Livorno.
A parlarci della mostra, dalla sua nascita al suo sviluppo, è l’assessora alla cultura di Livorno, Angela Rafanelli.
Quasi un anno fa ha assunto l’incarico di assessora alla cultura nel Comune di Livorno. Come sta vivendo questo nuovo ruolo e quali sono le sue priorità in una città con una tradizione culturale così forte?
Sì, esatto: a gennaio compiremo ufficialmente un anno. Sono stati mesi davvero intensi, da ogni punto di vista – emotivo e pratico.
La mia priorità, oggi come all’inizio, è rimanere in ascolto della vocazione culturale di Livorno: una vocazione forte, profonda, che nasce dal basso e coinvolge tutta la comunità. Non è una vocazione elitaria o riservata a pochi, ma ampia e trasversale.
Credo fortemente che il ruolo dell’assessorato non sia imporre una visione, ma potenziare l’identità del territorio partendo dai valori condivisi: trasparenza, coesione, coerenza e tutela del denaro pubblico, che va amministrato e investito in modo intelligente per favorire una crescita autentica.
Dopo tutto ciò che ha fatto nella sua carriera – televisione, radio, teatro – come è cambiato il suo sguardo su una realtà ‘piccola’ ma ricca come Livorno? E che rapporto personale ha oggi con la città e il suo patrimonio culturale?
Tutte le mie esperienze mi hanno portata a sviluppare una convinzione profonda: non esistono piccole o grandi parti, ma piccoli o grandi attori. Una città non è piccola per numero di abitanti, ma se è spenta e Livorno non lo è affatto.
Non l’ho mai percepita come una realtà ‘minore’: ha un’offerta culturale trasversale, una vitalità e uno spirito che non hanno nulla da invidiare alle grandi città.
L’arte di Giovanni Fattori continua a parlare anche a distanza di due secoli. Quanto la sente attuale oggi e che significato ha per lei questa mostra in questo momento storico?
Giovanni Fattori non è semplicemente ‘un uomo dell’Ottocento’: è una figura straordinaria, che ci insegna ancora molto. Diceva che “l’arte non è né antica né moderna, è arte e basta”: io estenderei questa riflessione alle persone. Non sono antiche o moderne, ma semplicemente grandi persone.
Riscoprire Fattori oggi significa rileggerlo, ristudiarlo, riscriverlo. Ha avuto una vita lunghissima, che gli ha permesso di attraversare tutte le età emotive dell’essere umano: da bambino mostrava una vocazione artistica spontanea; da adolescente, sostenuto da genitori illuminati, affrontava l’arte con spirito ironico e curioso, molto ‘livornese’.
Il suo genio si è rivelato gradualmente grazie alla cultura, che è domande, incontri, movimento. Ha saputo trasformare le grandi sofferenze della vita – malattia, morte, vecchiaia – in arte, e ha continuato a evolversi fino alla fine. L’ultimo Fattori è completamente diverso dal giovane Fattori della ‘macchia’: un’evoluzione rara.
Per questo il bicentenario non è solo una celebrazione, ma un’occasione per riscrivere e condividere valori universali – coesione, libertà, convivenza, rispetto – che sono le fondamenta stesse di Livorno.
Quali sono state le principali sfide e le maggiori soddisfazioni nell’allestimento della mostra dedicata a Fattori?
La sfida principale è stata il tempo. Quando mi sono insediata a gennaio, la mostra non esisteva. Ci siamo seduti al tavolo con la Fondazione di Piacenza e, saputo che il curatore sarebbe stato il professor Vincenzo Farinella, ci siamo detti:”È una grande sfida, ma proviamoci”.
La soddisfazione più grande è vedere i risultati: una frequentazione altissima, un interesse vivo, soprattutto da parte dei giovani. L’ingresso gratuito per gli under 18 ha portato moltissimi ragazzi, anche non livornesi, a scoprire la mostra.
Non abbiamo seguito logiche di mercato, né puntato su effetti spettacolari. È una mostra onesta, frutto di oltre trent’anni di studi del professor Farinella, che oltre a essere un grande studioso è un comunicatore generoso. Ha costruito un percorso per rendere accessibili a tutti le sue scoperte.
Abbiamo scelto consapevolmente di non usare la tecnologia in modo forzato: volevamo una fruizione lenta, attenta, rispettosa dei contenuti. Anche l’allestimento – dai disegni incorniciati con cornici bianche alle scelte espositive – rispetta le volontà di Fattori. È stata una mostra fatta ‘a testa bassa’, con dedizione, e questo si sente.
Guardando al futuro: quali progetti ha in mente per portare Livorno sempre più al centro dello scenario culturale nazionale e internazionale, e come immagina la città tra dieci anni?
Il ‘progetto Fattori’ è iniziato e non finirà mai: chi dovesse interromperlo, commetterebbe un crimine contro l’anima di Livorno.
Fra dieci anni immagino una Villa Mimbelli ancora più bella, un vero centro culturale aperto, fluido, in cui la cultura si esprime in tutte le sue forme e per tutte le età. Un luogo vivo, dove il pensiero e la creatività circolano liberamente, immerso nella natura e nel silenzio.
Livorno ha già un festival dell’horror unico in Italia, un festival letterario eccellente come Leggermente, e tante altre iniziative nate dal basso.
Le Terme del Corallo saranno finalmente restaurate, la Fortezza Vecchia avrà nuove vesti, e la città continuerà a recuperare il ruolo centrale che ha avuto storicamente.
Il mio augurio è che Livorno non tradisca mai la sua identità e la sua forza, e che continui a crescere senza perdere sé stessa.
La mostra dedicata a Giovanni Fattori non è soltanto un evento espositivo, ma un punto di partenza: un modo per riscoprire radici profonde e costruire una prospettiva culturale duratura per Livorno.
L’assessora Rafanelli si fa così portavoce di un progetto che attraverso l’arte vuole riaffermare la vocazione di una città aperta, libera e condivisa che riesce sempre di più a proiettarsi nel panorama nazionale e internazionale.