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I dolci tipici toscani, provincia per provincia

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I dolci tipici toscani sono moltissimi. Abbiamo raccolto di seguito la storia, la preparazione e le curiosità sui più noti, provincia per provincia.

Livorno

Frate livornese

Il frate è una sorta di ciambella fritta dolce, passata nello zucchero e da gustare caldo. Non è propriamente tipico del capoluogo labronico (varianti di ciambelle e dolci fritti si trovano un po’ in tutta Italia), ma da tempo si è imposto come simbolo dolce della città.

La pasta all’interno è detta ‘tubolare’, cioè vuota, non farcita. E ogni frataio che si rispetti sa di dover preparare, rispetto al bombolone, un impasto più morbido ed acquoso, per evitare che si formi della mollica dura all’interno.

Gli ingredienti sono semplici: farina, latte, lievito, olio di semi, zucchero, uova, un pizzico di sale.

Schiaccia briaca dell’Elba

La schiaccia briaca è un antico dolce tipico dell’Isola d’Elba, dai caratteristici aromi di vino moscato Aleatico e frutta secca.

Si presenta morbido e dalla forma rotonda. La sua superficie è chiara e presenta delle chiazze rosse dovute all’alkermes schizzato sopra lo zucchero.

La preparazione è semplice: impastare la farina con olio d’oliva, zucchero e frutta secca, aleatico e alkermes per conferire il caratteristico colore ed aroma. Si serve con il vino Aleatico dell’Elba.

Un po’ di storia

Dal XIII al XVI secolo, fino alla costruzione di Portoferraio, l’Elba era sotto continuo assedio dei saraceni, che oltre a lasciare dietro di sé l’amaro ricordo dei saccheggi lasciarono anche qualcosa di dolce. La schiaccia briaca, infatti, in origine era ‘astemia’ verso il Corano, raccogliendo tipici ingredienti medio-orientali come l’uvetta e i pinoli.

Il vino Aleatico, invece, è stata un aggiunta ottocentesca, insieme alle noci, non presenti nell’isola e dunque molto costose. Tale versione prevedeva l’utilizzo del miele isolano al posto del raro e costoso zucchero. Il risultato era una schiaccia a lunghissima conservazione (mancando sia lievito che uova), adatta ad essere provvista per nomadi e marinai.

Oggi è un dolce tipico soprattutto del Natale, ma ancora protagonista delle sagre stagionali elbane assieme agli altri prodotti tipici dell’isola.

Sportella

Altro dolce caratteristico elbano, la sportella è una schiacciata lievitata tipica del periodo pasquale. Dalla forma a ciambella, presenta due estremità che si incrociano sovrapponendosi.

Sono riportate diverse versioni per la ricetta. Quella tradizionale parla di un impasto addolcito da burro, liquore e aromi, dalla lunga e lenta lievitazione, simile alla schiaccia di Pasqua. Per altre versioni, la sportella è composta da pasta frolla con poca farina, zucchero, burro, latte, lievito per dolci e uova.

Il dolce viene prodotto nella parte orientale dell’isola solo in prossimità della Pasqua.

Un po’ di storia

Il dolce, storicamente, veniva scambiato in tempo di Pasqua tra i fidanzati: la forma infatti simboleggia i due sessi, come auspicio per la fertilità della nuova stagione.

A Rio nell’Elba e Rio Marina, la Pasquetta viene chiamata ‘Festa della sportella’ e fino al secolo scorso, per tradizione veniva fatta la scampagnata al santuario di Santa Caterina.
Si avvicendavano due cortei, uno nel paese basso e l’altro dal paese alto: sfilavano il parroco, gli abitanti, la banda musicale, i ragazzi, con al collo la sportella, ed i somari carichi di cibarie e buon vino. Il ritrovo era nel prato, dopo la celebrazione, ed ancora oggi si può gustare la sportella recandosi al santuario di Santa Caterina il giorno di Pasquetta.

Pisa

Amaretto di Santa Croce

L’amaretto Santacrocese è un biscotto secco di forma conica su base quadrata, cotto su uno strato di cialda dorata, con punta leggermente più scura. Gli ingredienti sono pochi: farina di mandorle, zucchero e uova, a cui si aggiunge, come aromatizzante, la scorza grattugiata di limone.
La ricetta originaria parte da una leggera tostatura delle mandorle, così da poter loro togliere, successivamente, la pellicola che le avvolge. Tuttavia recentemente alcuni produttori hanno sostituito la tostatura con la bollitura delle mandorle.

Il passo successivo è macinare le mandorle e impastarle con gli altri ingredienti. Dal composto si ricavano mucchietti a forma di cono, da adagiare su teglie ricoperte di cialda e cuocere a forno caldo. Un tempo venduti sfusi, oggi vengono più spesso messi in sacchetti di plastica trasparente.

Un po’ di storia

A partire dagli anni ’30 i proprietari delle concerie locali presero a regalare gli amaretti ai propri dipendenti e ai propri clienti. Da allora, l’amaretto divenne il dolce tipico di Santa Croce sull’Arno ed elemento identitario della comunità.

Ma l’origine degli amaretti viene comunemente fatta risalire ad inizio ‘800. Un convento di suore di clausura, fondato nel 1286 da Oringa Cristiana Menaboi (poi suor Cristiana), cominciò in quel periodo ad accogliere alcune giovani, nobili rampolle siciliane.

Queste ricevevano ogni Natale dai parenti pacchi di frutta secca, e soprattutto mandorle. Le suore, allora, cominciarono ad usare le mandorle per produrre dolcetti da regalare, a loro volta, ai compaesani benefattori del convento.

Il consumare quindi, durante le feste natalizie, dolci così particolari e caratteristici divenne presto segno di distinzione sociale. Al che, le sorelle che gestivano lo storico bar del paese iniziarono a produrli in proprio, basandosi sulla ricetta originaria delle suore. Il successo fece sì che anche altri esercenti avviassero tale attività.

Lucca

Befanini

I befanini

(chiamati anche befanotti) sono dei biscotti di varie forme, che si ottengono dalla cottura in appositi stampini a forma di animali, stella, cuori, befana ed altre che accendessero la creatività dei più piccoli.
Gli ingredienti da usare nella ricetta tradizionale sono variegati: uova, farina, burro, latte, zucchero, lievito, un bicchierino di anisetta o rum (anche sassolino o maraschino), una scorza limone o arancia, un pizzico di sale.

Essi diventano protagonisti del periodo natalizio, in particolare dell’Epifania (come suggerisce il nome), scambiati nelle diverse forme tra le famiglie. Un tempo, i bambini si scambiavano i biscotti di casa in casa.

Buccellato

Il buccellato di Lucca è un morbido pane dolce dalla tradizionale forma a ciambella o di sfilatino. Viene venduto fresco, il giorno stesso in cui viene prodotto, quindi incartato solo all’acquisto.

Si consuma fresco, spesso accompagnato a vino, vin santo, panna e caffè, ricotta e rum.

Un po’ di storia

Il dolce deve la sua tradizionalità alla specifica lavorazione, rimasta invariata nel tempo, e alla combinazione degli ingredienti.

Una volta il buccellato veniva servito in occasione delle cresime dei figli. Il nome deriverebbe dal tardo latino ‘buccellatum’, cioè pane o galletta costituito da una corona di panini detta a sua volta ‘buccella’, boccone, quelli in cui si prestava ad essere diviso il pane.

Il ‘buccellatum’, per gli antichi romani, era una specie di panino biscottato diffuso tra le classi più povere e distribuito come razione ai soldati.

Una curiosità

A dimostrare che il dolciume è parte integrante della tradizione lucchese, sta il proverbio: “Chi viene a Lucca e ‘un mangia il buccellato è come se ‘un ci fosse stato“.

Massa-Carrara

Torta cybea

Tipica del territorio di Massa, la torta cybea è una dolce rotondo a base di castagne, scuro e dalla consistenza compatta.

Viene preparato con marron glacés, miele, zucchero, farina di castagne, scorza d’arancia candita, uva passa, farina di frumento, sale e spezie. È necessario portare ad ebollizione il miele con lo zucchero., per poi aggiungere gli altri ingredienti. A fine impastatura, si modella la pasta in forme circolari spesse 2-3 cm.

Un po’ di storia

L’antica ricetta, custodita per anni, è stata riscoperta e valorizzata assieme alla quintana, antica giostra che si teneva nel marchesato di Massa Carrara in ricorrenza della fondazione, nel 1557, della città di Massa Nuova o Cybea.

Oggi la festività cade ogni giugno e vede Massa animarsi di cene rinascimentali e cerimonie d’investitura dei cavalieri che partecipano alla disfida. Sulle tavole, tra i piatti della tradizione locale, non può mancare la torta Cybea, il dolce ufficiale della manifestazione.

Pattona di Comano

La pattona di Comano è un pane, piegato o arrotolato, a base di farina di castagne. Viene consumato semplice o riempito con prodotti caseari: ricotta, formaggi teneri o, per i palati più golosi, con marmellate di fichi fioroni e d’amarene.

Si cuoce, tradizionalmente avvolto in foglie di castagno, nel forno a legna, così da darle un sapore deciso. La forma è rotonda, di 6-8 cm di diametro e uno spessore ridotto (1-2 cm).

Per prepararlo occorre impastare la farina di castagne con acqua, latte e sale fino a che la pastella non diventa densa. Per la cottura, si scelgono con cura tre foglie di castagno domestico (possibilmente Carpinese), da disporre a ventaglio, su cui versare un po’ di impasto. Non resta che infornare, con una pala, in un forno a legna.

Il dolce viene prodotto tutto l’anno; d’inverno si usano foglie secche raccolte in autunno e disposte in mazzetti.

Pistoia

Berlingozzo

Il berlingozzo è un dolce della tradizione pistoiese a forma di ciambella. Si fanno risalire le sue origini alla festa di Carnevale. La consistenza si presenta morbida, odore e sapore si accostano a vaniglia e arancia.

La ricetta, fatta risalire al tempo dei Medici, presenta un certo numero d’ingredienti ma non si rivela complicata. Si inizia con l’impastare la farina con zucchero, uova, vin santo, buccia d’arancia grattata, olio d’oliva, vaniglia e lievito. Si versa il composto in una teglia da forno per la cottura.

Il berlingozzo si considera dolce tradizionale in quanto combina ingredienti d’origine locale come l’olio d’oliva e il vin santo. Oggi viene consumato soprattutto a colazione o merenda, inzuppato nel caffellatte.

Una curiosità

Il nome sembra derivi dalla parola ‘Berlingaccio’, giovedì grasso; altra interpretazione vuole che ‘Berlingaccio’ sia il dispregiativo di ‘berlengo’, espressione longobarda che sta ad indicare la tavola dove si mangia.

Confetti di Pistoia

confetti di Pistoia si distinguono per la loro forma irregolare, bitorzoluta. Vengono anche detti per questo confetti “a riccio”, come avevamo già spiegato brevemente.

Sono più grandi dei normali confetti, per via dei variegati ingredienti che possono comporre il cuore di zucchero: palline di cacao, mandorle, arachidi, nocciole, arancio candito, cioccolato, coriandolo.

Per realizzarli si ricorre a strumenti particolari come l’imbuto di metallo, che serve a cospargere di zucchero il composto, e la bassina.

Nella ricetta originale, è previsto l’uso del solo anice, dal sapore deciso.

Un po’ di storia

Dalla letteratura è noto che Vanni Fuggi, il traditore di Pistoia personaggio della Divina Commedia, era solito liquidare mogli e suocere pedanti offrendo loro confetti di Pistoia avvelenati.

La tradizione storica parla di ‘anici confecti’ preparati per la festa del patrono San Jacopo. I confetti anno mantenuto una forte tradizionalità fino agli anni 50, quando, in occasione dei matrimoni, venivano acquistati in quantità e lanciati agli invitati nei festeggiamenti. Essendo bitorzoluti, non si rompevano e venivano tutti mangiati.

Con l’avvento delle bomboniere, molte confetterie pistoiesi hanno chiuso e oggi la tradizione del confetto è portata avanti da piccoli laboratori artigianali come prodotto di nicchia. I confetti bitorzoluti, in ogni caso, convivono con quelli lisci, detti ‘fagioli’, anch’essi prodotti a Pistoia.

Prato

Brutti boni

I brutti boni o ‘brutti ma buoni’ sono dei dolci con le mandorle tipici di Prato, ideali da abbinare al vin santo. Sono piuttosto piccoli (diametro di 3-5 cm) e hanno una consistenza abbastanza dura. Vengono prodotti tutto l’anno.

Gli ingredienti per prepararli sono pochi: mandorle tritate, uova, zucchero, farina. Amalgamandoli insieme, si ottengono palline da infornare in una teglia con sopra un sottile strato di ostia. Sono da considerarsi pronti quando la loro superficie diventa rugosa, cioè diventano ‘brutti’.

Un po’ di storia

Un tempo, al posto della mandorle, si usava il nocciolo delle pesche e delle susine. Si consumavano assieme a vin santo ed altri dolci: nessuno era solito comprare solo i brutti boni, ma li accompagnava con i biscotti di Prato.

Una curiosità

Il confetto tradizionale con l’anice, preso a fine pasto, sembrerebbe aiutare nella digestione.

Zuccherini di Vernio

Gli zuccherini di Vernio non sono altro che semplici biscotti all’anice canditi con lo zucchero al punto da acquisire una glassa croccante.

Dalla tipica forma tonda e bucata nel mezzo, la loro tradizionalità è data dalla accorta preparazione manuale che combina in modo particolare gli ingredienti. Onnipresenti nella feste nuziali in Val di Bisenzio, la loro forma bucata richiamerebbe la fede nuziale.

In quanto secchi, questi biscotti si conservano più a lungo di altri, e si consumano spesso inzuppati nel latte, nel caffe o nel vin santo.

È possibili trovarli per la festa della polenta di Vernio, ogni prima domenica di Quaresima. I conti Bardi, signori della zona, ordinarono nel giorno delle Ceneri la distribuzione a tutti di farina di castagne, aringhe e baccalà sfamando così la popolazione.

Un po’ di storia

La particolarità della glassa si ricollegherebbe, secondo tradizione, al fatto che lo zucchero doveva essere fuso in un paiolo di rame per uniformare il liquido.

I biscotti artigianali si presentano insieme grossi e leggeri, grazie ad una sapiente lievitazione.

Una curiosità 

La festa della polenta richiama un evento storico del Cinquecento. A seguito dell’invasione spagnola della Toscana nel 1512, gli abitanti di Vernio furono colpiti da una grave carestia. I conti Bardi, allora signori della zona, fecero distribuire a tutti, nel giorno delle Ceneri, farina di castagne, aringhe e baccalà, così da sfamare la popolazione.

Oggi il paese ricorda l’avvenimento con enormi pentoloni di polenta di castagne, baccalà e aringhe sparsi per le vie.

Firenze

Schiacciata alla fiorentina

Dolce rettangolare di color oro grazie allo zafferano nell’impasto, la schiacciata alla fiorentina si presenta coperta da una maschera di zucchero a velo a forma di Giglio, simbolo di Firenze.

Alla base della schiacciata troviamo farina, uova, latte, olio, zucchero, arancia, lievito, sale e il già menzionato zafferano che dà il colore caratteristico. Alcune golose varianti recenti prevedono l’accompagnamento con crema o panna montata.

Un po’ di storia

Il dolce sembra avere un’origine antica, in una versione che prevedeva strutto e ciccioli dal nome di ‘stiacciata unta’. Viene prodotto tipicamente nel periodo di Carnevale da gran parte dei forni e delle pasticcerie fiorentine.

Frittelle di riso

Le frittelle di riso di San Giuseppe sono delle tipiche palline dolci di riso, consumate soprattutto per la Festa del Papà il 19 marzo e nel periodo di Carnevale.

Si trovano in varie zone del Centro Italia, ma in Toscana vantano una pregevole storia e sono particolarmente apprezzate.

Un po’ di storia

Le frittelle di riso in Toscana hanno una tradizione molto antica, tale da ritrovarle già nel Libro de arte coquinaria di Maestro Martino de’ Rossi, che indicava di friggere questo impasto di riso e latte con olio e strutto, “excepto che non gli hai a mettere (senza dover aggiungere) né caso (formaggio) né altro lacte”.

Nelle varie province si sono poi create alcune varianti della ricetta tradizionale: di seguito ne proponiamo una fiorentina.

Si raccomanda di preparare l’impasto il giorno prima (ma va bene anche farlo il giorno stesso), facendo cuocere il riso nel latte e aggiungendo un pizzico di sale. Una volta raffreddato il composto, si aggiunge le uova, lo zucchero, la farina, l’uvetta (già ammollata per qualche minuto in acqua), lievito, vaniglina, un bicchierino di marsala e la scorza grattugiata di limone e/o arancia.

Si riscalda dell’olio in un tegame alto; quando sarà bollente, vi si gettano palline del composto ottenuto prima. Nella cottura bisogna assicurarsi che le frittelle rimangano a galla, altrimenti si impregneranno troppo d’olio. Se si vede che affondano, è sufficiente alzare il fuoco, tenendo presente di non mantenere l’olio sempre a temperatura di frittura, pena la bruciatura delle frittelle. Se poi le frittelle non rimangono compatte nell’olio, si aggiunga altra farina.

Toglierle dal fuoco quando avranno assunto un bel color oro e servirle su piatto cosparso di zucchero. Se possibile consumarle calde, ma anche fredde manterranno un sapore delizioso.

Arezzo

Baldino

Tutti lo chiamano castagnaccio. Ad Arezzo si chiama baldino.

La sua origine si perde nel tempo: pare che del suo impasto base si parlasse già nel 1500, ma solo circa due secoli dopo sarebbero stati aggiunti, entrando subito nella tradizione, pinoli e uvette.

La preparazione risulta assai semplice: mescolare la farina con zucchero, poi impastare con acqua e olio. Il composto andrà versato in una teglia da forno già calda, aggiungendo sopra pinoli, uvette e, secondo tradizione, un po’ di rosmarino.

La cottura è di 30 minuti. Si consiglia di servire tiepido, diviso in rettangolo non troppo grandi.

Panina

La panina, nella sua versione dolce e salata, è un tipico prodotto del periodo pasquale ad Arezzo. Noi qui ci concentreremo sulla sua versione dolce, detta anche pan Giallo.

Dalla forma rotondeggiante, talvolta leggermente allungata e quasi ovale, ha un diametro di circa 15-20 cm e pesa circa un chilo. L’esterno è di colore marrone, mentre l’interno assume un tipico colore giallo nel caso che venga impiegato lo zafferano (o al color nocciola nella versione salata, per la presenza di strutto e/o ciccioli).

La consistenza è quella del pane toscano fresco. Zafferano, uvetta e spezie le conferiscono il caratteristico sapore ed odore.

La panina viene prodotta secondo specifiche tradizioni nelle località casentinesi e altotiberine. In ogni caso, gli ingredienti principali quali farina, lievito di birra e sale vengono impastati insieme all’olio, all’uvetta (meglio se trattasi dello zibibbo), allo zafferano.

Queste ricette vengono tramandate di generazione in generazione, per cui l’uso esclusivo di alcuni ingrediente e la loro variegata combinazione rendono peculiare questo prodotto da forno. Negli ultimi anni, la variante dolce si è infatti maggiormente diffusa con l’aggiunta di zucchero nell’impasto, che lo hanno reso simile ad un classico dolce.

Una curiosità

Era tradizione che la mattina di Pasqua i ‘cavallai’ casentinesi si ritrovassero a fare una ricca colazione a base di panina dolce e salata, uova sode, insalata, cotolette d’agnello ed affettati tra i quali spicca il tradizionale ‘capicollo’.

Grosseto

Panficato dell’isola del Giglio

Il panficato è il dolce caratteristico dell’isola del Giglio, a base di fichi e noci ma anche vino, miele e uva secca. Si presenta come una pagnotta bruna fatta di fichi neri o neruccioli e noci dell’isola. La sua produzione usuale va da Natale a Pasqua.

Si inizia a realizzarli innanzitutto bagnando i fichi con il vino, in cui si lasciano per un giorno intero. Una volta impregnati, si sminuzzano ed impastano con le mandorle, l’uva secca, pezzetti di mele cotte o altra frutta di stagione, scaglie di cioccolato e miele.

Dall’impasto si ricavano delle pagnotte, da cuocere in forno. Sono richiesti perciò, in totale, due giorni di preparazione.

Un po’ di storia

Il panficato nasce nell’interno dell’isola, nel borgo fortificato di Giglio Castello, mettendo insieme i frutti più comuni dell’isola: fichi scuri e piccoli, mandorle e uva dolce essiccata al sole.

Dopoché nel 1544 il pirata Cair Haddin (Barbarossa) saccheggiò il Giglio e deportò ben 700 gigliesi, i Medici ripopolarono l’isola con gente proveniente anche dalle terre di Siena. Si suppone che la consistenza e il sapore simile al panforte, ma con i prodotti offerti dall’isola, siano dovuti a questa immigrazione.

Nella ricetta originaria, al posto del vino, si usava la vinella, ottenuta dai raspi bagnati con l’acqua.

Sfratto di Pitigliano

Dolce ebraico tradizionale diffuso nella Maremma grossetana, lo sfratto di Pitigliano appare come un rotolo di sfoglia ripieno di miele e noci.

Un po’ di storia

Il nome del dolce affonda le radici nella storia della comunità ebraica di Pitigliano, alle cui porte bussarono con il bastone i messi del Granduca di Toscana nel Seicento per sfrattarli e trasferirli nel ghetto del borgo.

Un secolo dopo, dunque, la comunità ebraica mise a punto questo dolce dalla forma allungata (il richiamo al bastone), con un ripieno di scorze d’arancia, noci, miele e noce moscata, dal sapore dolce e dal profumo intenso.

Gli ingredienti, in ogni caso, era quelli già usati dalle popolazioni autoctone da secoli, per cui si ipotizza il riferimento dello sfratto addirittura ad un’antica ricetta etrusca.

Si può preparare lo sfratto con diverse tipologie di sfoglia. In questa ricetta ne vengono presentati due tipi.

Bonus

Cenci

I cenci, diffusi anche in altre regioni con altri nomi, sono dei rettangolini di pasta dolce fritta. Il nome deriva dalla forma che assumono una volta cotti, cioè quella di cenci o stracci da cucina.

Questi dolci si considerano tradizionali, oltreché per la particolare forma, anche per la combinazione originale degli ingredienti e un sistema di preparazione invariato nel tempo.

Non contenendo stabilizzanti, i cenci, legati fin dalla tradizione contadina al periodo del Carnevale, non si conservano a lungo. Vengono prodotti quindi tra gennaio e febbraio, assieme ad altri dolci tipici già citati (frittelle frati), in tutta la Toscana.

Un po’ di storia

L’origine dei cenci sembrerebbe risalire a quella delle frictilia, i dolci fritti nel grasso animale che nell’antica Roma venivano preparati proprio durante il periodo del calendario romano corrispondente al nostro Carnevale (febbraio).

 

© Riproduzione riservata

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